La Gran Bretagna lascia l’Europa, ma ci saranno contraccolpi anche per chi in Europa rimane. E non soltanto per i miliardi di euro che le Borse stanno già bruciando, ma anche per il futuro del commercio. Sebbene ancora non sia chiaro quale forma di rapporto Londra sceglierà di intrattenere con l’UE, è scontato che le cose non saranno più come prima. Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha provato a capire cosa cambierà per il made in Italy e per le imprese del territorio. Lo ha fatto a partire da un report della Sace (gruppo attivo nell’export credit) che ha calcolato che l’Italia potrebbe vedere una contrazione delle esportazioni verso la Gran Bretagna da un minimo del 3 a un massimo del 7%, ovvero tra i 600 e i 1.700 milioni di euro in meno. Rapportando la stessa stima per l’export delle aziende del territorio padovano verso il Regno Unito, che nel 2015 ha toccato i 487 milioni, si oscilla fra i 14,6 milioni di euro e i 34. Le esportazioni oltremanica sono circa il 5,6% delle vendite all’estero, e ne fanno il quarto mercato di sbocco dopo Germania, Francia e Stati Uniti per il made in Padova. Si parla soprattutto di macchinari (147 milioni l’export 2015), prodotti alimentari e bevande e prodotti in metallo, ma una parte importante è legata al tessile/abbigliamento.
Il calcolo a livello nazionale considera che l’Italia attualmente esporta nel Regno Unito beni per 22,5 miliardi l’anno, con un attivo di 11,9 miliardi di euro: con la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea, la previsione era di una crescita del 7,6% per il 2016 e del 6,1% nel 2017 del made in Italy. Ma con la Brexit, secondo il rapporto, si prevede “una minore crescita per l’export italiano verso Londra di circa 1-2 punti percentuali nel 2016 (pari a 200-500 milioni di euro in meno beni esportati)” e per il 2017 “una contrazione del 3-7% per l’export italiano verso il Regno Unito, equivalente a circa 600-1.700 milioni di euro in meno di prodotti esportati”.
A ciò si aggiunge la reintroduzione dei dazi: secondo Prometeia, società di consulenza e ricerca economica, la tassazione sulle merci italiane potrebbe essere superiore al 5% del valore esportato. E se il costo si ribaltasse sui margini delle aziende, l’incidenza sarebbe superiore al miliardo di euro (in linea con le perdite francesi e tedesche). Per le aziende padovane, mantenendo lo stesso rapporto, si aggiungerebbero 24,4 milioni ai 34 già considerati nello scenario peggiore, per un totale di 58,4 milioni.
«L’emotività che ha accompagnato il dibattito precedente al referendum in Gran Bretagna per certi aspetti si ritrova anche nei commenti che da più parti si sono sentiti a urne chiuse» commenta Carlo Valerio, presidente di Confapi Padova. «Al momento, per le aziende italiane presenti in Gran Bretagna, la preoccupazione maggiore è quella della ricaduta sui mercati finanziari, ma è davvero presto per ipotizzare quanto accadrà, anche perché la fuoriuscita non sarà certo immediata e il voto dovrà tradursi in leggi, regolamenti e nuovi accordi bilaterali, senza contare che gli effetti più difficili da valutare riguardano la misura in cui la svalutazione della sterlina si tradurrà in una riduzione delle importazioni britanniche».
«Teniamo però presente un punto che non mi pare sia stato troppo considerato sin qui: la Gran Bretagna ormai da tempo ha ridotto in modo considerevole le sue attività industriali e non potrà pertanto rinunciare a importare dall’estero quanto le serve nel settore meccanico, e un discorso analogo vale per quello alimentare», conclude la sua disamina Valerio. «Credo che prima di un anno o due sarà impossibile capire la reale portata della Brexit, e in ogni caso la Gran Bretagna ha bisogno di mantenere nei rapporti commerciali con l’UE un livello di apertura tale da non compromettere le prospettive delle proprie imprese».