A macchia di leopardo, nel territorio provinciale come in quello regionale e nazionale ci sono quelle della pizza (magari anche “verace” al di sopra del 45° parallelo) e, immancabile, anche quella della birra declinata in “fest” in omaggio alla lingua di Goethe. Ci sono poi quelle dal titolo trasgressivo o ammiccante e avanti di questo passo a suon di fantasia e, talvolta, cattivo gusto.
Sono le feste paesane del terzo millennio che, complice la calura estiva e la voglia di fare business, si sono affrancate dalla tradizione e ora vivono di luce propria spesso e volentieri facendola in barba ai dettami del fisco.
“Così come sono sorti gli outlet – spiega il presidente dell’Ascom Confcommercio di Padova, Patrizio Bertin – così si sono sviluppate le sagre: artificiali gli uni, artificiose le altre”.
E mentre gli outlet si sono assunti il compito di far chiudere i negozi a migliaia, così le sagre hanno evidenti ripercussioni, per nulla positive, su ristoranti e pubblici esercizi delle zone colpite da queste vere e proprie calamità per nulla naturali.
“Ovviamente non abbiamo niente da recriminare – continua Bertin – nei confronti degli appuntamenti tradizionali, magari vecchi di secoli, che hanno contribuito a fare la storia e la tradizione del nostro territorio e nulla da recriminare nemmeno con le nuove proposte che giungono dalla sinergica collaborazione di più attori presenti sul territorio (amministrazioni comunali, categorie economiche, gruppi di volontariato, ecc.) e che hanno a cuore lo sviluppo del commercio e del turismo di una determinata realtà. Molto invece da ridire su feste paesane improvvisate (se non nell’organizzazione complessiva, di sicuro nell’allocazione e nella definizione) e su “zone franche” dedite allo spritz che alimentano un sottobosco fatto di personaggi alla ricerca del facile guadagno anche perché, troppo spesso, maturato anche ai danni del fisco”.
“Purtroppo – insiste il presidente dell’Ascom – amministratori poco accorti finiscono per autorizzare iniziative che non portano ad alcun beneficio per l’economia locale se non a quello di rimpinguare le tasche di organizzatori che spesso nulla hanno a che vedere con le realtà dove le sagre o le iniziative estive insistono”.
Servirebbero controlli e, soprattutto, servirebbe capire che è facile cadere nel ridicolo.
“Fa un po’ specie e fa un po’ sorridere (ma fa anche venire il magone) – conclude Bertin – che di punto in bianco un amministratore di un qualsiasi comune dei colli veneti autorizzi la realizzazione, sul proprio territorio, della “festa del pesce”: un’offesa al buon senso oltre che un danno economico non banale nei confronti di chi svolge professionalmente un’attività nel comparto del turismo e della ristorazione”.