I tagli del governo mettono a rischio l’eccellenza del servizio ristorazione nel carcere di Padova: una attività che oltre a formare decine di detenuti dà loro una fonte di reddito a volte fondamentale per le famiglie di chi si trova a passare anni dietro le sbarre.
Gioiranno i forcaioli, quelli che “buttate via la chiave” e via delirando. Io provo invece tanta tristezza di fronte ad un Paese che in un periodo di crisi taglia i servizi dove è più facile, ovvero colpendo quelle fasce della popolazione che hanno meno voce.
E’ difficile infatti che sia popolare la spesa pubblica nei confronti di chi ha commesso reati, molto spesso orribili. Ma se andiamo oltre la pancia e gli slogan, se andiamo cioè a vedere la centralità della persona oltre il problema, scopriamo che far lavorare i detenuti in carcere abbassa la probabilità che una volta uscito, il detenuto in carcere ci ritorni. Proprio stamattina parlavo con un mio amico che dal carcere sta uscendo dopo aver scontato anni di galera, e mi sottolineava con orgoglio di come abbia ricevuto un encomio per i lavori svolti, di come la sua opera abbia fato risparmiare migliaia di euro all’amministrazione carceraria. Io sono contento di avere un amico così, che te lo dice con gli occhi che ha capito il suo errore, che mi fa capire con esempi concreti che lavorare in carcere gli è servito.
Altre due persone che conosco sono in carcere. Una a Padova, uscirà tra tanti anni. E provo tristezza di fronte alla prospettiva che qualche euro in meno significhi per loro meno possibilità di recuperarsi alla società, e la quasi certezza che ne escano peggiori di come sono entrati.
A Padova il taglio della gestione delle cucine del carcere mette a rischio la produzione del panettone, quello che ha reso famosa la struttura padovana nel mondo (la prossima settimana ne parlerà la tv nazionale cinese), quel panettone così buono da piacere anche a Papa Francesco.
A Milano Bollate, chiuderà il catering con la cooperativa sociale “Abc la sapienza in tavola”, che formava cuochi e pasticceri che andavano poi a lavorare, una volta scontata la pena, in strutture private, anzichè tornare a rubare e rapinare. Lo stesso avverrà a Torino “alle Vallette” con la cooperativa “Liberamensa” che rischia di chiudere come quella di Trani dove nel carcere vengono prodotti taralli esportati anche all’estero.
“Noi faremo di tutto per rimanere aperti con la pasticceria anche se il ministero continuasse a voler chiudere il servizio cucina – spiega Nicola Boscoletto, battagliero fondatore di molte delle cooperative che producono speranza, ancora prima che beni e servizi dietro le sbarre -, ma è come togliere una gamba importante da una sedia. E la cosa surreale di tutta la vicenda è che chiudendo le cooperative che gestiscono il servizio cucina interno alle carceri, il Governo otterrà un aumento di spese e non si recuperano i detenuti, oltre a esporre lo Stato a ricorsi in campo di diritto del lavoro. E’ il solito sistema che quando una cosa funziona si fa morire. Questo del Ministero della Giustizia sembra proprio un attacco alle cooperative sociali ed ad un sistema che ha dimostrato che con poco si può fare. E’ un ulteriore giorno triste per il nostro Paese. Tieniamo presente che tutto il mondo sta guardando con attenzione quello che le cooperative sociali stanno facendo in carcere, per copiare il modello Italiano dell’inserimento lavorativo dei detenuti”.
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