Locali pubblici a Padova risorsa o problema? La riflessione del segretario Appe Filippo Segato

 

Il pubblico esercizio – sia esso un bar, un ristorante, una pizzeria o una sala da ballo – è da sempre una delle attività peculiari che caratterizzano il tessuto socio-economico nazionale e regionale.Quanti affari si sono conclusi al tavolo di un ristorante? Quanti accordi hanno visto il loro coronamento con un brindisi al banco di un bar? Quante famiglie hanno festeggiato compleanni, anniversari e cerimonie in ristorante, trattoria o pizzeria? Quante coppie si sono conosciute nelle piste delle “balere” o delle sale da ballo? Quanti turisti sono rimasti affascinati dalle proposte gastronomiche dei nostri locali?Eppure, sembra che ormai i pubblici esercizi siano additati prevalentemente come fonte di problemi: alcolismo, “notti brave” in discoteca, evasione fiscale, assembramenti di persone, rumore e schiamazzi notturni, frodi, carenze igieniche, ludopatie … e così via.Il settore, nella nostra provincia, conta oltre 3.000 imprese, che danno lavoro ad almeno 20.000 addetti, tra titolari, soci, collaboratori e dipendenti, con un giro d’affari annuo stimabile in oltre 300 milioni di euro, senza contare l’indotto generato.
È un’economia “positiva”, non delocalizzabile, che dà lavoro alle aziende e ai fornitori del territorio, anche quando i pubblici esercizi sono gestiti da titolari non italiani (circa il 15% del totale). Il settore è ad alta intensità di manodopera, spesso giovane e femminile, che viene qualificata e remunerata in modo adeguato, riuscendo nel tempo a maturare professionalità e competenze specifiche.
I pubblici esercizi sono un patrimonio del nostro territorio, sono meritevoli di tutela e promozione, perché contribuiscono attivamente ad arricchirlo e renderlo più accogliente e vivibile.
Occorre però che il loro ruolo venga riconosciuto da parte di coloro che hanno capacità politica e decisionale, per non disperdere l’immenso patrimonio fatto di esperienze, tradizioni e buone pratiche … ci ritroveremo altrimenti, magari già tra pochi anni, a dover scegliere se pranzare in un fast food di una catena internazionale, cenare in un ristorante internazionale gestito da stranieri, oppure consumare direttamente in strada “cibo spazzatura”.
Cosa chiedono gli esercenti alla pubblica amministrazione? Le richieste sono dettate dal buon senso: più controlli verso il dilagante abusivismo (pensiamo ai tanti, troppi, finti circoli, finti agriturismo, finte sagre benefiche); riportare alla moralità il settore dei buoni pasto (attualmente gli esercenti devono riconoscere fino al 15% alle ditte emettitrici dei buoni); meno adempimenti burocratici, spesso inutili perché inapplicabili (si vedano, ad esempio, le ultime norme sugli allergeni); un’imposizione fiscale più equa, che non si basi sulla presunzione dei ricavi ma su una leale collaborazione tra contribuente ed ente della riscossione; incentivi per agevolare gli investimenti; più disponibilità da parte delle banche a erogare finanziamenti per mettere liquidità in circolo.
Solo mettendo le imprese in condizione di operare in un mercato libero ma “regolare”, il settore potrà sopravvivere e trovare slancio verso una crescita equa ed equilibrata, a tutto vantaggio degli imprenditori, dei lavoratori e, soprattutto, dei consumatori.

Filippo Segato – Segretario Associazione Provinciale Pubblici Esercizi (APPE)