Città metropolitane, il ruolo di Venezia e l’autoisolamento di Padova

 

Dopo anni in cui si invocavano le riforme senza farle, è in atto nel Paese una profonda trasformazione istituzionale destinata a cambiare il nostro stesso modo di percepirci e, per certi aspetti, la nostra identità simbolico/territoriale. E, fatto davvero singolare, questo sta avvenendo senza che nell’opinione pubblica e anche fra le classi dirigenti vi sia la necessaria consapevolezza.
Le vecchie Province, venendo meno l’impianto napoleonico ereditato dall’unità d’Italia, sono destinate a perdere rango costituzionale, sostituite, per alcune funzioni, da “enti di area vasta” immaginati come strumenti di supporto amministrativo dei Comuni, soprattutto di quelli più piccoli. In definitiva si stanno trasformando in un ente chiamato a svolgere un ruolo di servizio. Proprio la scomparsa delle Province rende ancora più rilevante la contestuale nascita delle Città Metropolitane (queste sì dotate come i Comuni del rango costituzionale), che però, rispetto al passato dei vecchi enti, più che al territorio, come ambito di riferimento, hanno come mission lo sviluppo. Le città metropolitane, così come la legge le ha definite sono chiamate a concorrere alla crescita nazionale, a diventare i motori di sviluppo del sistema Italia, mettendo fine, a venticinque anni dalla legge 142/90, alla estenuante stagione delle tante quanto inutili chiacchiere.
Fra qualche settimana, con l’insediamento degli organi e l’approvazione dello statuto, anche Venezia entrerà a pieno titolo a far parte di queste nuove realtà, introducendo un cambiamento significativo nell’architettura istituzionale del nostro Veneto, senza che la regione abbia fino ad oggi approvato alcuna legge di riforma, come già fatto da quasi tutte le regioni.
Qualcuno si potrebbe chiedere: cosa cambierà per noi, come incideranno questi fatti nella vita dei cittadini?
Se guardiamo all’Europa, dove questi processi di gerarchizzazione delle città sono in corso da anni, e dove le città metropolitane sono diventate i luoghi privilegiati per affrontare la sfida della competizione economica e sociale, potremmo dire che molto dipenderà da come sapremo superare la visione policentrica, che ha consentito in tutti questi anni alle classi dirigenti di non scegliere, creando una poliarchia territoriale che ormai penalizza il nostro Paese. Per questo il futuro non sarà scontato e dipenderà, come sempre, dalla capacità degli uomini di diventare interpreti del bisogno di futuro, dalle relazioni globali che sapranno tessere, dall’ambizione delle comunità e delle loro classi dirigenti di diventare protagonisti della crescita piuttosto che malati immaginari ossessionati da virus patologici che annebbiano il nostro sguardo.
Certo ci sono dei limiti, come in tutte le leggi, e nella riforma Delrio, che ha scelto d’incardinare l’ambito metropolitano all’interno dei confini delle vecchie Province, questi appaiono in chiara evidenza. Se si escludono Roma, Milano e Napoli, che appaiono come una struttura territoriale compatta, difficile immaginare la relazione che lega San Michele al Tagliamento con Cavarzere e, allo stesso tempo non cogliere quella che lega invece Padova con Venezia, unite da quel corridoio metropolitano frequentato ogni giorno da decine di migliaia di persone. Ma tant’è, il via è stato dato, e probabilmente non si poteva fare diversamente a meno di mantenere lo stato di paralisi precedente. Oggi comincia dunque un’altra storia: non a caso il sindaco Luigi Brugnaro si è subito affrettato, intelligentemente, a non chiudersi dentro incerti confini, immaginando per Venezia una vocazione globale in stretto rapporto con il solido tessuto che la circonda.
E’ proprio ciò che circonda il cuore della citta metropolitana di Venezia che contribuisce a dar senso alla parola metropolitana. Città metropolitana è tutto insieme il cuore del Veneto centrale, imperniato sulle relazioni che uniscono Venezia a Padova e a Treviso, che come indicano i flussi pendolari del mercato del lavoro, la connotano come unica grande risorsa comune, polo in cui si concentrano attività manifatturiere, enti di interesse internazionale, e servizi a dimensione globale. Questa è la sfida che hanno le classi dirigenti se il loro orizzonte è la crescita del benessere dei loro concittadini e l’ambizione di giocare in Champions League, invece che nel campionato interregionale del localismo.
E’ necessario cambiare tutti passo, anche attraverso un coinvolgimento dei cittadini, per ragionare sul nostro futuro ponendoci alla guida dei processi in corso, anche nell’interesse nazionale, invece di porci in eterna sfida subalterna e rancorosa.
La legge Delrio contiene all’art. 1 comma 6 un’indicazione importante, costruita proprio sulla geografia di Padova e Venezia, che apre alla città metropolitana comprendente la città e la nostra vecchia provincia, laddove si afferma che: “il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia omonima, ferma restando l’iniziativa dei comuni, ivi compresi i comuni capoluogo delle province limitrofe, ai sensi dell’art. 133, primo comma, della Costituzione, per la modifica delle circoscrizioni provinciali limitrofe e per l’adesione alla città metropolitana”. Questo riferimento non è casuale. E’ stato fortemente voluto per offrire finalmente un’opportunità ad una comunità che lungamente ha coltivato questa prospettiva. Per questo sarebbe imperdonabile buttare la grande occasione per ragionare su noi stessi, sui nostri limiti e sulle straordinarie opportunità che possono essere colte.
E’ Padova che fa? Pensa davvero, dopo aver addirittura sterilizzato la Conferenza Metropolitana di Padova istituita fin dal 2003, di accontentarsi del vaniloquio, facendo ricorso all’ossimoro di “grande” Padova per nascondere le micro visioni, e di limitarsi ad assumere come interlocutori le amministrazioni politicamente amiche di Carceri, Cittadella, San Giorgio in Bosco e poco altro? Davvero qualcuno crede che le paure che alimentano la politica possano annebbiare a tal punto la mente?
Sarebbe imperdonabile se, come annunciato e ribadito più volte da chi immagina che la città sia stata presa e possa essere usata come ostaggio, prevalesse il piccolo cabotaggio, il traccheggio del “ti co nu e nu co ti” figlio di una visione andata, antagonista e impermeabile alle sfide del mondo che cambia. Padova è molto di più, ha sempre avuto vocazioni grandi, e anche durante la repubblica Serenissima è stata parte integrante del sistema esercitando una funzione strategica con la sua Università.
La sfida del sindaco di Venezia Brugnaro e la disponibilità del sindaco di Treviso Manildo, tanto più in presenza del definitivo tramonto delle vecchie province non può essere lasciata cadere. Padova è molto di più di chi si immagina solitario comandante in capo. E fatta di categorie economiche, di articolazioni sociali, di giovani aperti al mondo e che si confrontano con il mondo. E’ fatta anche di tante amministrazioni comunali che avvertono la loro inadeguatezza e la necessità di affrontare nuove sfide.
Se la politica cittadina, come molti episodi lascerebbero presagire, dovesse chiudersi nel palazzo e non fosse in grado di accettare il confronto, allora la parola e l’azione potrebbero ritornare daccapo ai cittadini a cui la legge attribuisce facoltà che nessun diktat potrà mai far venir meno.
Ivo Rossi
Paolo Giaretta
Giorgio Santini
Padova, 30 luglio 2015