“Facciamo una proposta concreta: ci sono cinquanta milioni di euro ogni anno che anzichè andare ad aiutare le popolazioni colpite da eventi climatici sempre più distruttivi e frequenti, finiscono dalle tasche dei veneti ai forzieri delle banche. I grandi gruppi finanziari hanno scaricato sulle pubbliche amministrazioni, compresa la Regione Veneto, il peso della crisi, strozzandone le possibilità di spesa attraverso contratti capestro. All’epoca della presidenza Galan, vice presidente Zaia, la Regione Veneto si è legata un cappio al collo, nelle mani di un gruppo fianziario irlandese che costa ogni anno quanto il valore di palazzo Balbi, sede della Giunta regionale”.
La denuncia arriva dal presidente di Federcontribuenti Marco Paccagnella, nel giorno in cui un gruppo di politici locali (il senatore Federico D’Incà, del Movimento 5 stelle, assieme alla senatrice Emanuela Munerato, lista Tosi, ed il consigliere regionale del Pd Bruno Pigozzo) hanno visitato le aziende della riviera del Brenta squassate dal tornado di luglio.
“Sono decine i milioni di euro, forse un centinaio, quelli bruciati fino ad ora dalla finanza creativa, che entro il 2019 farà danni quanto il tornado a Dolo e Mira – ricorda Paccagnella – Altrettanti i milioni che rischiano di evaporare di qui al 2036”. E’ la “mina” finanziaria nascosta tra le pieghe delle operazioni finanziarie che la nuova Giunta regionale erediterà dalla precedente.
“Abbiamo condotto una revisione approfondita dei contratti sottoscritti dalla Regione Veneto relativi ad un prestito obbligazionario aperto all’epoca della giunta Galan, quando vice era l’attuale governatore uscente Luca Zaia – spiega Paccagnella – la situazione è parecchio seria. Lo scenario a breve ci dice che dal 2006 ad oggi se ne sono andati in fumo tra i 50 ed i 100 milioni di euro. Ed altrettanti verosimilmente saranno mangiati dalla voracità della banca irlandese che ha sottoscritto la scommessa finanziaria con la Regione, fino alla fine del contratto tra 21 anni. Di fatto l’amministrazione Galan-Zaia ha ipotecato una parte cospicua dei bilanci regionali per le prossime quattro legislature”.
Il contratto con la banca irlandese.
Il 3 maggio 2006 la Giunta regionale deliberava di procedere alla negoziazione di un contratto derivato collar con la banca irlandese DePfa Bank Plc, per la copertura di un prestito obbligazionario a tasso variabile di 200 milioni di euro.
“Un contratto capestro – spiega Paccagnella – è assente dal contratto la cosiddetta schedule, ovvero un allegato che dovrebbe specificare le condizioni particolari volute dai contraenti. Non solo: il master agreement (contratto quadro) è stato sottoscritto dopo la conferma del collar. Sono elementi sufficienti per aprire dunque un contenzioso che annulli la tutta la procedura, come ad esempio ha già fatto il Comune di Rimini. Ultima zona d’ombra il modello generale di contratto (Isda) utilizzato dalla banca irlandese: risale al 1992 e già stato sostituito da un modello più preciso nel 2002″.
Uscire dalla voragine.
“In giro per l’Italia ci sono molte Province e Regioni entrate in situazioni debitorie gravi che in qualche misura hanno iniziato un’azione di uscita o di ricontrattazione degli strumenti finanziari. C’è da chiedersi perché il governo veneto non dia analoghi segni di reazione. Zaia, che nel 2006 era vice presidente della Regione, non può chiamarsi fuori dalla partita e lavarsene le mani. Intervenire è invece un atto doveroso: basti pensare che in questi tre anni si è arrivati ad un’esposizione di oneri pari ad una cifra che da sola sarebbe sufficiente per risolvere, ad esempio, l’emergenza gravissima nel settore del trasporto pubblico locale” conclude Paccagnella.
Unica via per uscire da questo pozzo avvelenato, secondo Paccagnella, quello di “intraprendere la strada di un contenzioso con le banche, magari attraverso una class action che coinvolga tutti gli enti pubblici che si trovano nelle stesse condizioni della Regione Veneto. Di sicuro, andando avanti così, si va incontro ad un fallimento che costerà caro ai cittadini”.
Nota a margine del comunicato
*Nello swap collar si crea una sorta di zona franca compresa tra due tassi di riferimento (il cap e il floor) entro il quale l’oscillazione del tasso di interesse non genera alcuna liquidazione di somme in denaro. Se i tassi superano la soglia massima convenzionalmente pattuita, la parte che ha venduto il cap (in questo caso la banca) paga all’altra (in questo caso la Regione Veneto) una somma di denaro. Nel caso in cui i tassi scendano sotto la soglia minima pattuita è invece la parte che ha venduto il floor, ovvero la Regione, a pagare alla banca una posta in denaro.