Cos’è l’Expo? E’ una fiera? E’ un luna park? E’ una colossale scatola vuota? Ne ho lette tantissime sull’esposizione universale in queste settimane. Polemiche, scandali, cronache al limite del disfattismo, altre al limite del marchettaro o dell’agiografico. Dico la mia in prima persona. Questa non è una cronaca in senso stretto: è un punto di vista. Il mio.
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Per me l’Expo è stata l’immersione in un grande spettacolo, una rappresentazione teatrale del mondo, in cui lo spettacolo lo fanno innanzitutto i visitatori. Quando ci sono stato, lunedì 17 agosto c’erano decine di miglia di persone, da quasi tutti gli angoli del mondo. C’erano anche Angela Merkel e Matteo Renzi. E che ci fossero loro due se ne sono accorti solo quelli che passavano dal padiglione tedesco e dal padiglione italiano. Per dire quanto Expo sia una grande città ideale, grande abbastanza da non farsi parallizzare nemmeno dalla visita di un importante, forse il più importante in questo momento, capo di Stato europeo. Io l’ho vista come una straordinaria occasione di immergersi nel mondo, di fare una battuta con un visitatore del Barhain in fila al padiglione dell’Uzbekistan. Ho pranzato con tre turisti giapponesi, che ho convinto a sedere nel mio tavolo da quattro dove ero solo: “non vi mordo mica, sedetevi” ho detto loro. E loro hanno sorriso e ringraziato. Mi hanno fatto mille complimenti per l’organizzazione e per il padiglione Italia. Io ho spiegato loro che non centravo nulla, ma loro mi hanno fulminato con un “ma lei non è italiano? Siete stati bravi voi italiani”. Un abisso tra due culture: noi individualisti, loro popolo.
Ho avuto anche il tempo per fare una gaffe orrenda con una ragazza della Corea del Nord, che forse ho ferito stupidamente con una risata di troppo su Kim Il Sung al telefono con un amico. Lei ha capito e c’è stata male. Io più imbarazzato di lei le ho chiesto scusa e lei allora ha sorriso. L’Expo può essere anche questo, capire che ci vuole un po’ più di rispetto e di comprensione reciproca per stare meglio tutti in questo mondo sempre più piccolo.
Per me l’Expo è questo: è una finestra su quello che può essere il nostro tempo. Se nel secolo scorso la gara tra le nazioni era basata sulla potenza e sulla grandeur nazionalistica, ora un padiglione a fianco all’altro, la gara può essere quella di una fierezza dell’identità basata oltre che sulla cultura, sulla capacità di produrre innovazione e bellezza. E misurando queste due capacità sono tornato a casa un po’ più fiero di essere italiano. Eravamo all’Expo, curiosi l’uno dell’altro, capaci finalmente di comunicare perchè dotati di una lingua comune, e della voglia, forse della prima volta nella storia di scoprire l’altro, prima ancora che di ostentare sè stessi. La trovo una rivoluzione straordinaria, se penso che mio nonno combattè gli austriaci sul Piave, mio padre che pure è una persona curiosa, non ha avuto la possibilità di viaggiare come avrebbe voluto e meritato, mentre io ho la chance di scoprire il mondo, o almeno la sua parte più bella, semplicemente andando a Milano, e posso immaginare un futuro per le mie bambine nate all’inizio di questo secolo, che grazie a due passaporti e due lingue di nascita, potranno sentirsi a casa dove fino a poco fa c’erano guerre, muri o nel migliore dei casi diffidenza per lo straniero.
Quando arrivo, anche se è pochi minuti dopo le 10, l’Expo la trovo già piena di gente. Faccio un primo giro e scopro l’albro della vita (che immaginavo più alto) e la graziosa curva di slow food, non distante dal Mc Donald’s. Sì perchè all’Expo c’è anche questo, vicino ai presidi delle tipicità in via di estinzione c’è il ristorante più industriale della storia. Per altro gremito da gente che ha deciso di mangiare il Big Mac quando con lo stesso prezzo poteva gustare un kebap turco, del cous cous tunisino o un panino al prosciutto cotto di fianco a palazzo Italia. Ma l’Expo è anche questo.
Sei cose minime, perchè sono i particolari che fanno la differenza, che mi sono piaciute:
1) il messaggio subliminale che sottende l’Expo, un mondo senza auto, almeno quando sei in vacanza, è possibile. E fa bene. Ho camminato 10 chilometri in un giorno. Era dalla giornata mondiale della gioventù del 2000 a Roma che non mi capitava. 15 anni e 15 chili dopo, sono felice quasi come quel giorno.
2) cortesia e gentilezza di steward multilingue: l’Italia che ce la fa sono anche e soprattutto loro. Sono quasi tutti disoccupati immagino. Un appello agliimprenditori che leggono il loro curriculum da novembre in poi: assumeteli, hanno girato il mondo anche se sono stati sempre a Milano da maggio in poi
3) l’energia dei ragazzi che animano il padilione dell’Argentina. Reinterpretano il tango in chiave metropolitana, noi contemporaneamente pensavamo di attrarre visitatori con gli sbandieratori di Urbana in vestito finto rinascimentale. Risultato: sudati gli uni, per il ritmo indiavolato alle percussioni e gli altri causa palandrane in velluto. Hanno vinto gli argentini 6 a 0 quanto a coinvolgimento del pubblico clicca qui per vedere il video, fantastico, dell’esibizione degli argentini “el Choque urbano”
4) pulizia e acqua gratis: sembra di essere in Svezia, con tanto di fasciatoi in bagno. Fantastico, perchè come diceva una vecchia pubblicità, la casa si giudica dal bagno
5) lo slang da Expo. Le mamme che dicono ai figli “andiamo in Corea”. E tutta questa gente con il copricapo da risaia vietnamita. La voglia di mettersi in gioco e stare al gioco, anche quando si applaude la parata dei personaggi vestiti da frutta. Che sono ridicoli ma piacciono tanto ai bambini.
8) Una mostra delicatissima dedicata al modo di stare a tavola in giro per il mondo, vicino al padiglione dell’Unione europea. C’è una foto di un vecchio con la nipotina in braccio. Il vecchio assomiglia a mio papà, la bimba è praticamente la sosia di mia figlia più piccola. Forse uno dei messaggi di una manifestazione così è anche questo: avere la capacità di specchiarsi negli occhi degli altri.
Poi ci sono anche le cose che non mi sono piaciute, tipo gli stand di plastica raccontati da questo sito Ma insomma l’alternativa era non mettere nulla oppure scegliere di avere una porcilaia in mezzo al decumano.
Mi è piaciuta anche un’altra cosa: all’Expo devo tornarci perchè c’era tantissima gente e quindi tutti in fila (ordinata!) e per vedere i padiglioni Italia e il padiglione zero occorre una giornata dedicata. Ed ho la voglia di tornarci anche se alla fine della serata i piedi non li sentivo più, ma la testa era leggera ed il cuore pieno di serenità perchè il mondo può essere anche questo: la gioia di incontrarsi per scoprirsi nelle differenze e nelle tante cose in comune che ci rendono una sola razza, quella umana.
Alberto Gottardo