Era nata come una tavolata di amici sette anni fa. E’ diventato quasi un ricevimento di nozze. Merito della simpatica competenza di Mario Stramazzo, autentico Indiana Jones del gusto, e di roberto Veronese, dominus del Tavern, ristorante di pesce di Monselice che continua ad essere negli anni una stella polare nel firmamento del saper stupire a tavola. E così per il settimo anno consecutivo gli amici di Mario e Roberto si sono dati appuntamento nella sala delle feste del Tavern. E quello che è arrivato, dopo gli antipasti in zona caminetto, è stato un crescendo di originalità nel piatto e nel calice. Si è iniziato con una margherita di cappasanta in carpaccio ripiena di gambero rosso, per poi andare di cozze in un guazzetto di pomodoro che chiamava una scarpetta obbligatoria. E poi sono arrivati come in una orchestra gli ottoni del vialone nano Melotti avorio con alga dulse e la cassetta del misto a fare capolino generosamente ad ogni chicco. E gli archi con il violino solista degli sfogetti fritti assieme a moletti, patarace, passarini, sardee e (letterale dal menù) “che i pescarà i pescaori”. E poi sono arrivati i dolci di Dario. Che è Dario Loison, uno che ha trasformato la tradizione pasticcera veneziana in ambascerie di gusto ed eleganza a partire dalla confezione delle focacce fino alla scelta delle marasche e dei canditi dei sui panettoni. Cose che non si possono spiegare. Nei calici sono finiti vini di Salvan e Zanovello: persone che hanno capito che competere in latino vuol dire andare insieme verso la stessa meta, e non per forza farsi gli sgambetti. C’erano i vini to del consorzio Soave (sempre i latini dicevano “nomen omen” ed avevano ragione), le creazioni di Villa Parens, di Tommasi e Marcato e in fase di “calcio d’inizio” è arrivato il Durello della Lessinia, che non conoscevo, ed adesso che lo conosco sono più contento. Come sono contento una volta l’anno di vedere tanti amici, che non nominerò altrimenti gli altri che mi dimentico si arrabbiano un po’. Queste poche righe le scrivo per loro e per lo “zio” Mario e il “cugino” Roberto. Finchè ci troveremo alla fine delle feste per una serata così, sarà sempre festa. Grazie di cuore, ed anche di stomaco.
Alberto Gottardo