«Se la proposta di legge regionale venisse approvata rischieremmo di avere l’agriturismo “globalizzato”» ironizza amaramente Erminio Alajmo, Presidente dell’Associazione Provinciale Pubblici Esercizi (APPE) di Padova, nonché Presidente regionale della FIPE, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi che in Veneto rappresenta circa 13.000 imprese, riferendosi al progetto di legge regionale attualmente al vaglio di Palazzo Ferro Fini, che potrebbe modificare la legge sulla “Disciplina delle attività turistiche connesse al settore primario”.
«Quando abbiamo letto – prosegue Alajmo – come si vorrebbe modificare la normativa, siamo rimasti inorriditi. In pratica, si vorrebbe far diventare l’agriturismo un vero e proprio ristorante».
Il riferimento del Presidente APPE e FIPE Veneto è all’art. 7 del progetto di legge regionale n. 109 “Legge di stabilità”, che abbasserebbe la quota di “prodotto proprio” che gli agriturismi devono utilizzare per la realizzazione di pasti da somministrare ai clienti, attualmente fissata al 65%, portandola al 50%.
«Non solo – precisa Alajmo – perché con la modifica proposta si avrebbe anche l’equiparazione al “prodotto proprio” anche di prodotti acquistati presso le cooperative agricole, oppure attraverso la soccida o la rete d’imprese».
In pratica, secondo l’Associazione degli Esercenti, se venisse approvata questa norma, ben potrebbe il grande latifondista, che possiede ettari di coltivazioni estensive, aprire un agriturismo con somministrazione di alimenti e bevande, acquistando le materie prime per il 50% presso le cooperative agricole, per il 15% presso il libero mercato e per l’altro 35% da altre imprese agricole, purché i prodotti abbiano un marchio tra quelli indicati dalla Regione.
«Se andiamo a vedere – prosegue Alajmo – sul sito del marchio “Qualità Verificata”, scopriamo che quel latifondista potrebbe anche usare patate di Sabaudia in provincia di Latina, oppure carne di vitello allevato in provincia di Reggio Emilia… bel modo di fare promozione del nostro territorio!».
Alla Federazione dei ristoratori hanno coniato il nome di “Agriturismo globalizzato” per descrivere le possibili conseguenze della nuova normativa.
«È proprio così – conferma Alajmo – perché se passasse questa impostazione, potremo andare in agriturismo in Cadore a mangiare i “peoci”, oppure a Rosolina a mangiare il capriolo, ovviamente tutto nel pieno rispetto della normativa e in totale spregio dei diritti dei consumatori».
«Il cliente – prosegue il Presidente APPE e FIPE – che pensa di consumare un pasto realizzato prevalentemente con prodotti tipici dell’azienda, finirebbe invece per trovare sul piatto prodotti acquistati da soggetti terzi e neppure tipici di quel territorio».
I ristoratori precisano inoltre che la legge regionale, tanto contestata dalle associazioni agricole nella parte relativa alla quota di prodotto proprio, ha invece concesso enormi aperture per quanto riguarda i posti a sedere.
«Nessuno dice – sottolinea Alajmo – che prima del 2012 i posti a sedere all’interno dell’agriturismo potevano essere al massimo 80, mentre adesso il numero è fissato dal piano agrituristico aziendale, in pratica è lo stesso agricoltore che decide quanti clienti può ospitare all’interno del suo pseudo-ristorante».
Non a caso il presidente degli esercenti usa la parola “ristorante”: secondo la FIPE tante volte è difficile distinguere un agriturismo da un vero e proprio ristorante, in quanto non vengono rispettate le tipicità del prodotto.
Insomma sembra che non possa esserci pace tra ristoranti e agriturismi.
«La pace c’è – conclude Alajmo – se ognuno rispetta il proprio ruolo: noi ristoratori siamo aperti tutti i giorni dell’anno, diamo lavoro a centinaia di migliaia di persone e con il nostro indotto muoviamo l’intera economia del territorio, senza beneficiare dei tanti privilegi fiscali e contributi a fondo perduto di cui godono gli agriturismi. Stesso mercato, stesse regole: se un agriturismo vuole avere più libertà d’iniziativa, utilizzando i prodotti a proprio piacere, può trasformarsi in ristorante o trattoria e competere alla pari con i pubblici esercizi».
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