Massimo Bitonci non è più sindaco di Padova. Caduto a causa delle troppe imposizioni, di uno stile di comando più da podestà che da sindaco. Aveva detto giorni fa “io sono il sindaco faccio e dico quello che voglio”, lasciando trasparire una tracotanza che gli è stata fatale. Ed a nulla hanno potuto le minacce disperate delle ultime ore, l’appellarsi a Matteo Salvini, mettendo a repentaglio, almeno in teoria il futuro coalizzarsi del centrodestra a livello nazionale. Diciassette consiglieri comunali eletti dai cittadini alle ultime elezioni hanno deciso che bastava così, che la democrazia è un’altra cosa. C’erano tutti gli esponenti del centrosinistra che, dopo le divisioni della scorsa campagna elettorale, ha trovato un momento di unione. Hanno firmato gli esponenti di Padova2020, quelli del Pd, il consigliere di Padova civica. Hanno firmato nonostante pressioni notevoli i due consiglieri del Movimento 5 stelle. E poi si sono presentati alla firma anche i consiglieri di una maggioranza che non ha retto il peso di un governo monocratico della città: Antonio Foresta delle civiche di centro che avevano crfeduto in un sindaco di tutti, e si sono trovati un sindaco che tutti insultava. C’erano due consiglieri comunali di Forza Italia che da partito dei moderati si stava trasformando in partito dei fedeli al capo. Ed è arrivata alla fine anche la firma di Fernanda Saia, sorella di quell’assessore che è stato vittima della disfatta sul piano politico di una città amministrata come se fosse un condominio, con il comandante Paolocci nel ruolo di ringhioso portinaio della città che si voleva cittadellizzare.
Bitonci parlerà di “traditori” come già fatto in passato. E invece costoro hanno fatto una cosa che accade di rado in Italia: si sono dimessi perchè vedevano calpestato ogni giorno un bene prezioso, che è quello della democrazia, della libertà, della dignità dei singoli cittadini. Perchè ogni volta che un cittadino veniva intralciata perchè di idea politica o colore della pelle diverso dal manipolo dominante, Padova veniva oltraggiata. Non co se il sindaco Bitonci ci ha mai fatto caso, ma Padova poggia la propria ragione di esistere su tre valori: l’accoglienza praticata sin dal mito della fondazione della città da parte del profugo Antenore, scappato da una guerra non distante dall’attuale Siria, valore rinnovato poi con Sant’Antonio che era da Lisbona prima di diventare di Padova e con Galileo Galilei, con gli armeni, con gli ungheresi scappati dai carri armati della cortina di ferro; Padova è orgogliosa della sua patavina libertas, una libertà padovana che è universa e universis cioè tutta intera fino in fondo e per tutti, altrimenti non è. Padova è la città in cui nascono prima che altrove i fenomeni politici e prima che altrove finiscono. Così è stato per i subbugli sanguinosi negli anni ’70 così è stato per l’ulivo e così è stato anche adesso: quello che è finito ieri a Padova è un dispotismo dell’uomo solo al comando malvagio e tracotante. In questi mesi il foglio di via da Padova dato all’ex sindaco di Cittadella rimarrà effettivo se in vista delle prossime elezioni si saprà coltivare una idea alta e positiva di città, e si saprà individuare una squadra di persone di buona volontà capace di interpretare al meglio le molte ragioni per cui ci si può dire orgogliosamente padovani. Una piattaforma di buona politica, e poi certo, conseguentemente, un capofila di un movimento che deve essere corale e profondamente trasversale nelle varie anime di questa complessa città. Perchè uno che interpreta al meglio il peggio di questa città c’è già, e si chiama Massimo Bitonci, che ha già fatto sapere che proverà a riconquistare la città che lo ha cacciato stanotte.
Alberto Gottardo