Ho riflettuto molto su quanto successo nell’ultimo fine settimana nel mio quartiere. L’altra mattina le camionette di polizia e carabinieri sono arrivate a chiudere via Cardinal Callegari, i muratori hanno sprangato le porte e chiuso con i mattoni tutti gli accessi. Ponendo fine ad una esperienza sociale autentica, costruita con l’effrazione di una porta che era rimasta chiusa per 5 anni. Negli spazi dove un tempo giocavano a briscola i frequentatori de “L’età d’oro” si erano accumulati polvere e sporcizia. Per quattro mesi quel posto è ritornato ad essere un luogo vivo: i ragazzini andavano a fare i compiti, gli anziani a bere un’ombra, c’erano addirittura i corsi di yoga. Era un posto vivo, il giardino era stato messo a posto, con due filari di lampadine e la musica dei Buenavista social club a fare da sottofondo alle serate agostane. Nessuno dei residenti si era mai lamentato di quella porta forzata. Il reato era infinitesimale rispetto al bene generato. Eppure anche la politica ha guardato il dito perdendosi un pianeta di bellezza e di socialità spontanea. Rappresentare la città in maniera degna è forse andare alla sostanza, senza andare a guardare il codice penale. E il fatto che tutti o quasi abbiano girato le spalle a quella esperienza, mi ha fatto sentire un vuoto. Signori aspiranti securitari da Comune, se avessimo voluto muri e polizia, avremmo votato Bitonci un paio di anni fa. A me piacciono i bambini che trovano un posto dove fare i compiti e i veciotti che bevono le ombre. E francamente, se quello era uno spazio occupato, chissenefrega: la proprietà è pubblica e quello era un luogo pubblico, anzi quello più pubblico di quel pezzo di Arcella. Adesso è chiuso. E chissà per quanto ancora lo sarà.
Alberto Gottardo, nato e cresciuto all’Arcella