Dal consorzio Rebus riceviamo e pubblichiamo:
Sarà un’associazione del tutto nuova – per ora manca anche il nome – che mette insieme storie, persone, situazioni che normalmente si penserebbero contraddittorie, incompatibili: le famiglie delle vittime e quelle dei detenuti, i detenuti stessi e gli operatori che si prendono cura di loro. È nata nella casa di reclusione Due Palazzi, in seguito alla testimonianza di Margherita Caruso, vedova del brigadiere dei Carabinieri Giuseppe Coletta, una delle 19 vittime italiane della strage di Nasiriyah del 12 novembre 2003.
Impensabile? Non sarebbe l’ultima delle cose impensabili che stanno accadendo dietro le mura del carcere di Padova negli ultimi tempi. Oggi pomeriggio nell’aula magna della struttura, circa un centinaio di detenuti più autorità varie (una foltissima rappresentanza di militari, il procuratore di Venezia Pietro Calogero, il rettore della Basilica del Santo padre Pojana, oltre al Nunzio apostolico della S. Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra monsignor Silvano Tomasi) sono stati protagonisti di un dialogo altamente drammatico tra persone che cercano di fare i conti con un male commesso e una donna che – apparentemente – è stata bersagliata dalla sorte, prima con la morte per un linfoma di un figlio di sei anni e poi con l’uccisione del marito.
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Eppure non è il male ad avere l’ultima parola. «Essere qui con voi oggi è il più bel regalo di Natale che potessi avere», esordisce Margherita. «Si può uscire migliori anche da quanto di più brutto possa accadere nella nostra vita. Il dolore ti schiaccia ma se uno si affida al Signore il dolore può anche unire le persone: dopo una caduta ci si rialza. Ecco perché voi siete i prediletti di Cristo». Non è una predicatrice che sta parlando, è evidente. È una persona a cui è successo qualcosa di più grande della disgrazia. Tutti nell’aula magna ne sono coscienti, lo prova il silenzio totale, carico di rispetto.
E c’è un piccolo segreto dentro questa possibilità di risorgere. «È il sì, lo stesso che ha detto Maria», prosegue Margherita. «Avendo Gesù nel cuore si può essere liberi e in pace con se stessi». Attraverso il sacramento della confessione, ad esempio. Che è fatto per chi si trova lungo la strada, a qualsiasi punto del cammino si trovi. «Io non mi sento arrivata, ma in cammino sì. D’altra parte Dio non lascia le cose a caso. Io, moglie e mamma, avrei voluto stare fuori dai riflettori e non avrei mai immaginato di stare qui con voi oggi. Ma bisogna fidarsi ed affidarsi a Cristo, che conosce ognuno di noi singolarmente».
Non è un linguaggio che non si possa capire, quello della vedova Coletta. Per questo tutti gli interventi cominciano con un grazie. «Con il dialogo si può cominciare a dare una risposta a una storia come la nostra», dice Alberto. E Marino comincia a sperimentare che «da tanto dolore, soprattutto il dolore causato da noi, può nascere tanto bene. Credevo di non avere più nessuna possibilità, invece ho cominciato a lavorare con la cooperativa Giotto, mi è stata data fiducia. Il bene può cambiare anche le persone peggiori». E smuovere situazioni impossibili, fino al punto – racconta – di incontrare nuovamente il padre dopo nove anni. Elvis, albanese, si dice «choccato»: «Lei è una signora molto coraggiosa». Un altro detenuto le augura «che Dio alberghi sempre nel mio e nel tuo cuore». «Io ho incontrato Cristo in carcere» dice Franco, che si qualifica come ergastolano. «Ma cosa posso fare per la mia famiglia e per le famiglie delle mie vittime?» «Prega per i tuoi cari e prega per loro», risponde Margherita, «Cristo darà forza anche a loro».
Nicola Boscoletto, presidente del consorzio Rebus che dà lavoro a un centinaio di carcerati, raduna al più presto la ventina di detenuti che si predispongono a prestare servizio alla Cena di Santa Lucia, la cena di beneficenza in favore dell’ong Avsi, della onlus padovana “Un cuore un mondo” e – naturalmente – dell’Associazione Giuseppe e Margherita Coletta “Bussate e vi sarà aperto”, con Margherita ospite d’onore. Per alcuni detenuti si tratterà della prima uscita in assoluto fuori dalle mura di via Due Palazzi. E forse anche per loro al centro congressi Padova “A. Luciani” sarà uno choc partecipare come camerieri o inservienti, accanto agli altri 150 volontari, a una serata di gala con oltre un migliaio di partecipanti. Forse a loro, e a quanti hanno avuto l’opportunità di assistere all’incontro in carcere, faranno compagnia le parole dette con tanta convinzione da Margherita: «Abbiate la certezza assoluta che Dio perdona qualsiasi cosa che ognuno di noi abbia potuto commettere». Per questo ricominciare è sempre possibile.