“Dialoghi nel colore” è il titolo della mostra si è aperta nella sala della Gran Guardia che mette a confronto tre generazioni di artisti uniti dalla capacità di esprimere gioia, di comunicare uno sguardo positivo sul reale (nella foto scattata dal vicesindaco Ivo Rossi). È un omaggio a tre pittori padovani, Raffaele Minotto, Gioacchino Bragato e Marino Nagro, che nelle loro opere esaltano le bellezze della nostra città e angoli caratteristici del paesaggio veneto.
A guardare i quadri di Raffaele Minotto viene in mente una singolare poesia di Aldo Palazzeschi che si intitola “La passeggiata”. Ne riportiamo un coriandolo: “Fumista./ Parrucchiere./ Fioraio./ Libreria./ Modista./ Tipografia./ L’amor patrio,/ antico caffè./ Affittasi quartiere, /Rivolgersi al portiere/. 193”. Minotto ha dipinto “Via Euganea”, un frammento di rione all’ombra del Duomo, la sua strada, dove ha vissuto e dove è nata la sua pittura, con i negozi che vi si affacciano. Gli ambienti, i negozianti, gli artigiani, sono figure che emergono da una materia magmatica fatta di colore e di luce, da una sorta di tessitura cromatica. Hai quasi l’impressione di essere di fronte ad un ologramma, ad una realtà metamorfica che cambia a seconda del punto di osservazione, ma, dopo un primo sguardo, il soggetto prende forma, i connotati si precisano. E’ una scelta, la sua, che ti porta dritto nel cuore di una comunità, che ti mostra lo scorrere della vita. A Piacenza, in via Calzolai, Minotto ha messo in piedi una mostra costruita sugli stessi temi di via Euganea, opere che mettono a fuoco l’atmosfera della strada, dei suoi negozi, della sua gente. Ne viene fuori l’imprinting, il Dna del vivere collettivo. Altro cavallo di battaglia i ritratti: il nonno siede su una poltrona rossa bruciata da una luce bianca. I soggetti sono collocati in un salotto contro il fondale di una bifora o in un’osteria, in un negozio o al bar. L’artista si misura con risultati pregevoli anche nell’incisione. Da ricordare le sue due belle mostre a Parigi e a Lussemburgo.
Il mondo di Gioacchino Bragato è un mondo di sogno. La sua Padova, mura, chiese, torri, giardini, alberi, è ridotta ad essenza, trasformata, stilizzata. Una città liofilizzata, vista come motivo ispiratore, non come soggetto da ritrarre, una città onirica che si appoggia alle nuvole di una visione ed è lucida come un gatto coccolato, luminosa come fosse stata appena creata. Sembra quasi che Bragato contempli attraverso il cannocchiale di un buco nero un universo parallelo, un pianeta simile al nostro ma lontano, collocato in un’altra galassia, un mondo non inquinato, dove l’erba è verdissima, i fiori stupendi, dove gli alberi danzano al ritmo del vento. La Padova di Gioacchino è più bella e più buona di quella in cui viviamo. Le piante sono come quelle di Tolkien: parlano, cantano, incantano con l’esplosione dei colori in primavera. I cieli sono cangianti: dal blu al lilla, dal cobalto al verde. L’artista regala un’anima a tutte le cose del creato, anche ai ciottoli ornati con piccoli tatuaggi, grossi confetti in una bomboniera colorata, che sono l’ultima serie del suo repertorio. Una farfalla in mezzo al prato, sembra un gioiello uscito da un forziere. Bragato ora sta lavorando ad un gruppo di opere che hanno come tema le mura cinquecentesche, un abbraccio di pietra, 11 chilometri di lunghezza, che stringe la città, un susseguirsi di bastioni, di porte monumentali, di fossati. Gioacchino ha anche il dono dell’improvvisazione, celerità del tratto, senso cromatico spiccato, disegna piccoli capolavori su foglietti di carta. Ecco che appare una città verticale con torri, pinnacoli, alberi aguzzi come spade, un palloncino ancorato ad un filo ha perso forza e agonizza a mezz’asta.
Marino Nagro ha più pennelli e una varietà di soggetti enciclopedica, ma il colore, il segno l’evidenza plastica danno una forte identità a tutte le sue opere. E’ un autodidatta, Nagro, approdato all’arte nel 1975, dipinge i suoi quadri con una freschezza, e una spontaneità giovanile straordinaria. Marino è stato uomo delle “piasse”, aveva un banchetto di mercanzie orientali, volto abbronzato, una fisionomia da moschettiere dumasiano, quando scopre la pittura si sprofonda nello studio degli artisti che sente più vicini per animus e sensibilità, da Caravaggio a Klimt, da De Chirico a Henry Rousseau. Questa conoscenza non superficiale gli consente interessanti citazioni, ma sempre con autonomia stilistica e netta autenticità di ispirazione. Assieme ad altri pittori, Nagro frequenta studi di nudo della durata di tre anni e affina sempre di più la sua tecnica del colore. Il critico Giorgio Segato parlando di Marino ne sottolinea il ritmo cromatico, quasi musicale, l’inventiva iconografica, la “sensorialità prensile”. I nudi femminili, morbidamente erotici, sono raffreddati da un esercizio di eleganza. Una donna di profilo, testa stupenda, collo di cigno alla Modigliani, si staglia sullo sfondo di una marina, l’orizzonte è chiuso da una quinta di palazzi lontani, uno sky-line delicato come una trina. Vivido un angolo veneziano (calle del quattro mori), con in primo piano una statua su colonna di un bianco abbagliante e, sullo sfondo, un palazzo rosso cadenzato dalle quadrifore da cui emerge la cupola di una chiesa. Regalano emozioni i paesaggi sull’acqua e gli angoli di campagna in cui affascina la cura minuziosa dei particolari, il gusto per il dettaglio di foglie, cespugli, il gioco di riflessi sotto un ponte.
La mostra rimarrà aperta fino al 5 aprile 2010, tutti i giorni dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00, chiuso i lunedì non festivi. Ingresso libero.