Il Padova, l’Appiani quanti rimpianti

 

Oggi il Padova torna all’Appiani. dopo vent’anni scrivevano i giornali locali. Poi a ben ricordare i giornalisti più esperti di me hanno sottolineato come in realtà il Padova all’Appiani ci abbia giocato non più tardi di tre anni fa, quando nelle sue fila contava Varricchio e Baù. (clicca qui per leggere l’articolo del Mattino all’epoca) Sembra passato un secolo.
Ho spiegato ai miei colleghi che questo pomeriggio non sarò in tribuna per una serie di motivi che rendono triste quella piccola parte del miio cuore che ancora si emoziona tanto quando pensa al calcio Padova. Il motivo principale è che il luogo è lo stesso, ma l’Appiani di un tempo non tornerà mai più, ed allora non ha senso andarci, dal mio punto di vista, a maggiore ragione perchè non avrei nemmeno nessun motivo professionale per esserci. E poi io in tribuna non ci sono mai andato, o andavo in curva, quella di legno con i tubi innocenti, o nello spicchietto che separava i distinti dalla curva ospiti. In tribuna ci andavano le autorità e quelli che potevano permetterselo. Ma lo spettacolo era tutto dall’altra parte, tra i distinti mai contenti, autentici loggionisti del calcio, che hanno visto una grande squadra di alta classifica per alcuni anni con Rocco ed allora tutto il resto lo fischiano e contestano. Per poi infervorarsi al primo goal segnato. Il pubblico del Padova è così: capace di contestare la stessa squadra a cui mezz’ora dopo tributava applausi e standing ovation. Facili all’entusiasmo e pessimisti al tempo stesso, tronfi di una ingiustificata fame di grandeur che forse non c’è neanche mai stata a ben guardare, i tifosi padovani sono così. O almeno lo erano. Ce ne saranno 1500 oggi all’Appiani. Altrettanti fuori.
Dentro al campo un Padova tanto diverso dagli ultimi che ho visto sul rettangolo verde a due metri scarsi dalla recinzione. C’erano Galderisi, Longhi, Bonaiuti in porta, ma mi ricordo anche Benevelli e prima di lui se non sbaglio, Malizia. C’era Da Re e Fermanelli, Cina Pezzato non so se ho fatto in tempo a vederlo in campo, come ho anche de ìi dubbi su Cerilli. Perchè poi hai la sensazione, quando tifi Padova, di averle viste tutte le partite. Di esserci anche quando poi non c’eri. L’Appiani adesso è uno stadio malridotto in attesa di un restauro un po’ più degno della sua storia. Ma anche se lo rifacessero uguale e tornasse a giocare la squadra di Granoche e compagni non tornerebbe l’Appiani perchè l’Appiani eravamo noi, che ci credevamo, con una squadra che ci credeva. Adesso i giocatori, mica tutti per carità, si vendono le partite. I tifosi, mica tutti per carità, vanno allo stadio solo per sfogare le loro frustrazioni da reietti contro l’arbitro, contro i giornalisti, contro gli avversari. Sono una minoranza, sono degli sfigati, ma per due ore scarse un paio di volte al mese e neanche tutto l’anno, possono sentirsi protagonisti, avere l’illusione di avere un ruolo in una società in cui non riescono a ritagliarsi un ruolo. Ed allora se lo gustano tutto questo effimero primato della violenza verbale e dell’insulto costante. E se lo godono. A me, quelli fanno tanta tristezza, almeno quanta era la gioia che provavo a tifare Padova quando la curva era ancora sempre e solo biancorossa e la squadra o la società la potevi anche criticare senza rischiare di trovare l’idiota di turno che ti insulta ad ogni occasione. Ed allora io sto a casa. Se chiudo gli occhi mi viene ancora in mente un 13 giugno di tanti anni fa, con Montrone che fa goal contro L’Ascoli all’ultima di campionato. Vincemmo con un 3 a 2 pazzesco. Gli stessi tifosi che avevano contestato sul 0 – 2 impazzivano sul 3 a 2, poi se non sbaglio da Lucca (tanto per cambiare) arrivarono le solite brutte notizie. Che partita, che stadio. Lì sono sicuro, c’ero.
Alberto Gottardo