Max Gallob racconta piazza delle Erbe a suo modo

 

Max Gallob racconta con un po’ di insospettabile lirismo come vede la piazza delle Erbe. E noi pubblichiamo molto volentieri.
La piazza, e Piazza delle Erbe in particolare, è un luogo di vita .Si riempie lentamente verso le quattro del mattino dei primi carretti e banchi . Decine di persone che lentamente, caldo o freddo che sia, si preparano ad una antica, e sacra tradizione: il mercato. Da centinaia di anni sempre uguale e sempre quello, ma nella sua sacralità anche esso uno specchio dei tempi. Sempre di più i banchi gestiti da extracomunitari, stranieri, migranti, chiamateli come volete. Quello del mercato è il primo capitolo del mondo reale che nella piazza trova il suo palcoscenico; le forme del lavoro, del consumo primario, la spesa, sono cambiate: sono cambiati i colori, i sapori le lingue. Chi vive e attraversa le piazze nell’arco della sua giornata lo sa benissimo; il mercato è la vera borsa della crisi, sociale ed economica di Padova. Ora durante la giornata il concetto urbanistico di piazza come contenitore si dilata e amplifica: durante il giorno è ai tavoli dei suoi bar che si decide la vita politica ed economica della città di Padova.
Il ruolo della piazza riconquista quella essenza greco-romana che va dall’Agorà e si tramuta in Foro: niente le sfugge e tutto lo attraversa. Tutto, perchè di per sé neutrale e democratica, perciò caotica ed indeterminabile, anche se l’ombra dei palazzi del comune, delle banche, di università e giornali, provano a farglielo dimenticare.
L’ora di pranzo è culmine e fulcro di questo paradigma. La piazza risplende del suo sole, i suoi palazzi ne sono abbagliati, tutti tranne uno. Le Debite sono all’ombra di una cattiva coscienza, quella di una rendita speculativa che abbandona al suo vuoto e chiuso destino centinaia di migliaia di metri cubi di patrimonio immobiliare pubblico e privato solo per il gusto di farlo, con il silenzio e la complicità dei palazzi che gli sono intorno. 

Ma nel caldo sole che precede il pomeriggio, tra le piaghe del suo selciato c’è tutta una città; il mercanti che smontano sono circondati, da professionisti e politici, studenti e poliziotti che li controllano. Lavoratori di ogni sorta e professione, spacciatori e compratori, il mercato è mercato, la legge della domanda e dell’offerta non ha orari.
E’ tutto chiaro,tutto sotto gli occhi, tutto leggibile, analizzabile se non comprensibile. E’ una contraddizione che si dà vita e la concede al luogo che la racchiude, la rimischia, la amplifica e mai potrà trattenerla. Ma ormai è già tardi, è il pomeriggio che chiama la sera, i palazzi intorno alla piazza si chiudono sicuri dei loro poteri e privilegi, se ne fanno roccaforte dietro portoni e mura inespugnabili, diventano sempre più oscuri e indecifrabili. Arriva la sera, la piazza ha paura.
Paura di se stessa, di quello in cui è stata trasformata, un deserto: sono ore dove puoi sentire i tuoi passi dove ti guardano occhi di finestre sbarrate.

Poi un fatto strano; arrivano da ogni parte, liberati dal proprio lavoro materiale o immateriale, a centinaia, qualche giorno sono migliaia. La piazza da porto si fa mare e marea che si allarga per le ormai asciutte rive/strade del centro; riconquista, la piazza, il suo essere luogo della fiera, della festa della carne medievale, il carnevale. E’ la piazza del libero comune che difende la sua terra e accoglie lo straniero, dell’università del pensiero autonomo da papi e re e che si ribella, indipendente da imperatori e dittatori. I palazzi del potere sono lontani, chiusi, incomprensibili e non compresi non comprendono. Vedono, o meglio mandano a vedere e controllare, non domandano, ordinano, ma non riescono ad arrestare la piazza.

Ora è notte, la piazza, che molti sfruttano, altri solo attraversano, alcuni abusano, si placa come un mare mosso quando scende il vento; ha visto un’altro giorno con le sue ingiustizie e verità, attraversata in egual maniera da quelli che se ne fregano e quelli che si fermano ad osservare la città che le sta intorno. Sarà perchè abbiamo scelto, come in molte cose che facciamo, di viverla per quella eterna contraddizione che è, una corrente in mare aperto, un mare calmo e agitato, conforto e tormento. Siamo pirati, nostro il navigare con le leggi della vita al nostro fianco, liberi, autonomi, indipendenti; questo la piazza lo sa, e non giudica ne noi la giudichiamo. Nella piazza non combattiamo e vinciamo nessuna guerra, nella piazza reclamiamo e difendiamo solo la nostra voglia di vivere, e alle volte la nostra vita tanto più oggi che sappiamo che in una piazza, come ad Atene si può uccidere a sangue freddo e con l’autorità per farlo un ragazzo di quindici anni che brindava alla vita…
…ci vediamo in piazza per chi non ha paura.