Marcello Cestaro, Beppe Grillo e quella voglia di vaffanculo allo stadio

 

Credo che Gianni Potti abbia preso ispirazione, magari inconsciamente, da Gianroberto Casaleggio nell’ultima mossa comunicativa del calcio Padova: autoprodursi le interviste in casa per aggirare la mediazione dei giornalisti sportivi e comunicare direttamente con i tifosi. Nell’era di internet, sostiene Beppe Grillo, la rete informa senza più bisogno dei giornali e delle tv. Grillo ha un suo fedelissimo che lo segue in diretta streaming con un curioso accrocchio: l’unica telecamera ammessa sul palco ai suoi comizi. Potti ha mandato i suoi collaboratori con mezzi meno sofisticati a fare interviste senza domande se non “dimmi quello che mi vuoi dire” a Bresseo. E pazienza se il tutto si risolve in una serie di monologhi in cui il diritto di cronaca, critica e le domande scomode svaniscono. Sul sito ufficiale del calcio Padova si possono trovare le interviste, le uniche da quando il calcio Padova è entrato in silenzio stampa. Potti ha le sue ragioni, una su tutte: Cestaro paga e lui esegue, assieme ai suoi collaboratori, che si renderanno pur conto di un paio di rischi insiti in questa deriva autocratica. Il primo, trascurabile per carità, è quello di non poter più chiedere sconti, eppure ne hanno avuti in passato, alla categoria dei giornalisti che se a volte hanno smussato più di qualche spigolo e tollerato l’intollerabile per amore di patria spaventati dall’equazione senza Cestaro = lega nazionale dilettanti, ora hanno mani libere per denunciare tutti i guasti di una gestione definita dalla stessa vice presidente Barbara carron “fantozziana”.
Il secondo rischio è un clima di montante aggressività al limite della violenza nei confronti dei cronisti. Nell’ultima gara di campionato un gruppetto dei soliti noti della curva è arivato fin sotto alla cassa accrediti per esporre striscioni contro due giornalisti del Mattino e del Gazzettino, “rei” di aver fatto il proprio mestiere, ovvero dare conto con nomi e cognomi come sempre si fa con tutti i rinviati a giudizio, della conclusione delle indagini per le intemperanze al termine di una delle tante stagioni fallimentari del Padov del passato, quando qualche testa calda, sfogò la propria frustrazione nel vedere i tifosi avversari festeggiare la promozione all’Euganeo. Di mezzo c’è andato anche Stefano Edel, insultato da quelli che il suo giornale ha sempre definito “ragazzi” anche quando l’età delle bravate dovrebbe essere finita da un pezzo. Poi dalla curva la tribù del tifo ha elencato altri “nemici” con la solita scorta di insulti. Dalla società nemmeno una riga di solidarietà ai diretti interessati. Di solito chi tace acconsente e questo è molto pericoloso. Fa evidentemente comodo che la rabbia dei tifosi si scarichi su chi racconta le mille tribolazioni dell’eterna e costosissima incompiuta, anzichè focalizzarsi sulla fonte dei mali della società tra le più spendaccione di sempre. E’ colpa dello specchio che riflette una immagina che non piace. I vaffanculo fioccano e magari c’è anche chi se ne compiace. Perchè piovono contro i giornalisti-terroristi. D’altro canto anche il presidente aveva dato un certo esempio anni addietro prendendo per il collo Dimitri Canello del Corriere del Veneto e più tardi battendo ogni record provinciale di bestemmie a favore di telecamera dopo, appunto, un’altra domanda scomoda, fatta da Giorgio Borile durante un altro silenzio stampa. A questo punto non resta che augurarsi che, come spesso accade, la violenza rimanga solo promessa verbale, e che a furia di tollerare poi non succed che qualcuno si faccia male. In quel caso Potti e Cestaro farebbero fatica a convincere che loro non c’entrano e che dei giornalisti bisogna avere rispetto.

Alberto Gottardo