Io penso che a tutti quelli che hanno fatto tanto chiasso al funerale di Priebke e che continuano a far rumore con il ticjettio delle tastiere su facebook sarebbe utile un pomeriggio di silenzio. E sarebbe utile ad esempio leggere il libro curato da Roberto Brumat, un mio amico. Riporto qui la mail che ha inviato stamattina. Buona lettura a tutti.
Alberto Gottardo
La storia di Enrico Vanzini è diventata un libro. L’ultimo Sonderkommando italiano, edito da Rizzoli e curato da Roberto Brumat, è la biografia di questo ragazzo di Varese, oggi novantenne che vive vicino a Cittadella (Pd), il quale nel ’43 fu catturato dai tedeschi e deportato in una fabbrica in Germania da dove fuggì con altri due italiani. Tradito da una ragazza milanese e consegnato alla Gestapo, gli risparmiarono il plotone d’esecuzione per portarlo nel lager di Dachau in cui rimase 7 mesi fino all’arrivo degli americani.
Il suo è un racconto drammatico, e non solo per la fatica di sopravvivere (56 kg persi in 7 mesi contendendosi coi topi i resti della spazzatura), ma per le percosse, per ciò che patì, vide e fu costretto a fare. Per 15 giorni lo obbligarono a diventare un Sonderkommando, uno delle squadre di internati incaricati di riempire di cadaveri i forni crematori. Fu allora che seppe cosa c’era in quella casa fuori della quale tante volte l’avevano obbligato a trainare, assieme ad altri, dei carri pieni di morti.
Quando sente del testamento di Priebke e della negazione dell’esistenza delle camere a gas si infuria. Lo racconta nel libro: “E’ stata una scena agghiacciante, non sapevo dell’esistenza della camera a gas, non sapevo cosa fosse una camera a gas; ed era lì, una cameretta oltre lo stanzone dei forni. Sono entrato in quell’inferno alle 5,30 del mattino. Dentro c’era un forte odore di gas, così le SS ci hanno fatto indossare una mascherina da chirurgo per poter respirare. C’era un’atmosfera spettrale, con quattro lucine accese in alto sugli angoli del locale. Li abbiamo trovati abbracciati gli uni agli altri, avvinghiati così forte che non eravamo capaci di staccarli dalla stretta che li aveva uniti quando si erano sentiti morire. Sessanta uomini di ogni età, erano ancora attaccati, uno all’altro, era qualcosa che ti spaccava il cuore…”
Per foto e contatti con Enrico Vanzini: Ufficio stampa Roberto Brumat 347 3020664 [email protected] www.robertobrumat.it