Una tabella nuova campeggia sullo scheletro di un palasport che ha evidentemente bisogno di maggiore attenzione da parte dell’amministrazione comunale. La tabella ha ribattezzato quello che negli anni recenti si è chiamato PalaAlì, poi PalaSpiller ed ora PalAntenore reclamizzando una società di fornitura di energia elettrica e gas con politiche di marketing molto aggressive e ben fatte sul mercato padovano.
Credo che a una società che accetta di mettere il proprio nome su una struttura pubblica tanto trascurata vada decisamente tributato un ringraziamento, quantomeno per il coraggio. Ed anche per la lungimiranza poichè quel palasport sgarrupato, in una zona urbanisticamente sgarrupatissima, in realtà è uno dei fuochi più vivi della intensa vita sociale che ribolle nel quartiere più multietnico di Padova e forse del Veneto.
Da quel palasport filtrano i tamburi e le trombette del tifo della pallavolo, i canti della comunità evangelica nigeriana, lo scalpiccio di allenamenti a ciclo continuo dal lunedì al venerdì.
Lì dentro ad ogni ora del pomeriggio e della sera schiere di giovani si allenano e fanno fatica. C’è tantissima energia umana insomma sotto quel tetto ricurvo che sembra la cupola di una astronave aliena. Intorno al palasport ci sono cassonetti e cartelloni pubblicitari arrugginiti. Ed è lì che il Comune potrebbe intervenire per dare a questo scrigno di sport una confezione più consona al contenuto.
Regalo a chi legge un’idea: vestite il palasport da navicella spaziale o da tartaruga. Sarebbe bellissimo che scomparissero i brutti e inutili tabelloni pubblicitari. Che i muri venissero scrostati dalle locandine comunali e diventassero invece tavolozze per gli artisti che hanno portato Padova ad essere uno dei centri più rispettati della street art. Mi piacerebbe che il tetto del palasport diventasse un carapace di pannelli fotovoltaici esagonali che desse energia pulita a tutto il quartiere.
Altrimenti rimarrà solo una tabella con i colori bianchi e rossi e uno slogan accattivante. Ed invece potrebbe essere, assieme al nuovo stadio dell’atletica, la continuazione di un quartiere che, dopo aver cambiato faticosamente pelle, è rinato attorno a un palasport che porta il nome di un profugo di una guerra lontana. Buon lavoro a quanti vogliono bene a questo quartiere ed a questa città così incomprensibile a chi non la ama.
Alberto Gottardo