“Il mio partito è Padova”. E’ stato uno slogan più che efficace in una campagna elettorale ben diretta da Mauro Ferrari, che dopo aver portato alla vittoria Luigi Brugnaro a Venezia ha bissato una impresa impossibile a Padova. Ora, vedere a meno di una settimana, Sergio Giordani sul palco di una parte del Pd, quella di rito renziano, sottoparrocchia “martiniana”, può essere legittimo, ma va chiarito.
Legittimo è l’orgoglio dei segretari Massimo Bettin ed Antonio Bressa nel rivendicare una vittoria che non era certo facile pronosticare, tanto più dopo il malanno fisico che ha portato Giordani a un passo dall’uscita di scena. Va chiarito, e lo si vedrà già nella composizione della Giunta e nella gestione dell’amministrazione, se il civismo scevro dai condizionamenti di partito sia stata solo una vestizione elettorale o se sarà una pratica anche di governo.
Se prevarrà il civismo allora quella di Giordani sarà stata una utile comparsata alla soglia della forza attualmente al governo, utile a portare a Padova attraverso i ministeri quegli investimenti fondamentali per rilanciare Padova. Altra cosa sarebbe farsi stritolare in logiche di schieramenti e correnti, con un Pd che con il 13% in consiglio comunale non potrà di certo mai fare la voce grossa al tavolo dei capigruppo. Tanto più che oggi il Pd di Padova era spaccato in tre: quelli a Milano con Renzi, quelli a Roma con Bersani e quelli al mare o al concerto di Vasco. Ad accontentarne uno se ne scontentavano due. In bocca al lupo Sergio, e attento alle iene.
Alberto Gottardo