La data fatidica per il casinò di Venezia è quella di mercoledì 24 maggio quando i dipendenti della storica istituzione di Cà Vendramin hanno deciso di incrociare le braccia.
Niente fishes, niente roulette e black jack per gli aficionados della suggestiva location sul Canal Grande. E niente da fare nemmeno per chi sceglie la più comoda sede distaccata in terraferma di Cà Noghera. Anche lì sarà fermo tutto compresi i tavoli da poker e le slot machine. Insomma un giorno davvero triste per gli appassionati del gioco. Ma come si è potuti arrivare a tutto questo? Sarebbe troppo facile dare la colpa di tutto al sindaco
Luigi Brugnaro, che si è trovato le mani una patata già bollente da un pezzo. La verità è che la crisi del casinò veneziano affonda le proprie radici su due oprincipali fattori: uno
diretto e l’altro congiunturale. Il fattore diretto che destabilizza da anni i conti di una delle case da gioco più antiche d’Italia è l’alto livello delle retibuzioni dei dipendenti comunali che sovrintendono alle operazioni in sala. Già il sindaco Massimo Cacciari, anni fa ebbe a lamentarsi del fatto che ci fossero addetti ai tavoli che guadagnavano più del primo cittadino stesso della città lagunare. Ma il caro personale da solo non può bastare a spiegare la crisi del casinò municipale. Un’altra mina innescata alle fondamenta di istituzioni come i casinò è la congiuntura e la competizione crescente delle esperienze di gioco online. Solo per fare un esempio tra i molti che si potrebbero fare, giocare a blackjack a Voglia di Vincere è altrettanto avvincente dell’esperienza reale ed in più permette la comodità e la privacy della dimensione domestica, per non parlare delle possibilità di moltiplicazione delle puntate a causa dei bonus di benvenuto.
I casinò di Saint Vincent e Campione d’Italia non se la passano meglio di quelli veneziani. Segno che il management non può molto, tanto più che la concorrenza in questi ultimi anni è cresciuta. E non solo quella oltre la ex frontiera tra Italia e Slovenia, con Nova Gorica che è diventata una sorta di piccola Las Vegas a due ore di macchina da Venezia, Padova e Treviso, ma anche perchè già in qualsiasi città gli appassionati di slot machine e giochi elettornici con premi in denaro, possono sbizzarrirsi con ogni tipo di slot elettronica.
Quale via d’uscita per il muro contro muro tra amministrazione comunale e dipendenti del casinò più che scettici sulle strategie di rilancio messe nere su bianco al tavolo
negoziale? Difficile dirlo. Un segnale nefasto è arrivato nei giorni scorsi quando la discussione sul tema in Consiglio comunale non è neanche iniziata per mancanza del numero legale.
“Il Casinò di Venezia – è detto in una nota diffusa dai sindacati, Cgil, Cisl, Cisal, Rlc, Ugl – continua a erogare al Comune di Venezia ingenti risorse, ben più di quelle fornite da
Campione, Saint Vincent e Sanremo, gli altri tre Casinò italiani, che hanno sistemi di convenzione non predatori e che mantengono in sicurezza le loro aziende. Eppure viene
definito in perdita, perché, diversamente da quanto indicato recentemente dalla Corte dei Conti, il Comune acquisisce tutti gli incassi e non solo gli utili.
Ma il peggio – proseguono i sindacati in una nota diffusa alla stampa – è che oggi si è archiviata ogni idea di rilancio e di gestione orientata ad attrarre clientela e fare
incassi: come una meteora è passato un Direttore Generale con esperienze internazionali, che hanno scelto e poi liquidato (con che spesa?), forse competente sul gioco, ma all’oscuro di come si fa gestione aziendale. Visto l’accentramento di tutto, trattativa sindacale compresa, forse siamo stati anche ingiusti nel valutare un Cda, insediato da ottobre 2015, che molto probabilmente non è stato granché lasciato lavorare in maniera autonoma”