Una caduta di tutte le componenti produttive, segna l’impatto più acuto che la pandemia da coronavirus lascia nei conti dell’industria di Padova e Treviso. Nel secondo trimestre 2020, come era prevedibile, la produzione cede in media il 18% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-6,3% nel primo), con picco negativo nelle piccole imprese con 20-49 addetti (-25,9%). In forte calo il fatturato in Italia (-23,1%). Anche l’export cede terreno (-14,6%) per effetto del doppio shock di domanda e offerta e delle ripercussioni della pandemia sul commercio mondiale. In forte contrazione gli ordini (-19%), esito che sconta un mese di aprile in cui le imprese ‘non essenziali’ sono rimaste completamente chiuse a causa del lockdown. Tensioni sulla liquidità aziendale per un terzo delle imprese, anche a causa dei pagamenti giudicati in ritardo dal 49,5% (61,1% nel primo trimestre). Tiene nel complesso il numero degli occupati (-1,6%), grazie all’ampio ricorso agli ammortizzatori sociali, utilizzati ad aprile dal 70,1% delle imprese (78,2 nel metalmeccanico) e in modo più contenuto con la ripresa delle attività a maggio (55,6%) e giugno (43,3%).
La caduta nel secondo trimestre segna il punto di minimo dall’inizio dell’emergenza Covid e per effetto del lockdown. La contrazione della produzione industriale nei primi sei mesi si ferma al 12,1% (-19,3% a livello nazionale nei primi cinque mesi), per effetto del recupero iniziato dopo la riapertura in maggio. La forte incertezza su tempi e modi di uscita dalla crisi sanitaria e le ricadute sulla domanda, interna e internazionale, rendono parziale e faticosa la risalita. Per sei imprese su dieci, l’attività non tornerà al livello pre-pandemia nel 2020 (-13,4% l’output manifatturiero atteso a fine anno, rispetto al +6% stimato a gennaio). Gli effetti del virus “economico” continueranno a farsi sentire a lungo con il ritorno sui livelli di attività pre-Covid collocato tra prima metà e seconda metà 2021, se non interverranno sviluppi negativi.
L’incertezza ha determinato comunque solo un parziale rinvio delle decisioni di investimento delle imprese (-1,4% a fine anno, rispetto al +7,8 a gennaio), invariate per il 42,3%, in aumento per il 25%, pur in un contesto interno e internazionale fluido e con molte nubi. La profondità del trauma della pandemia e del lockdown si riverbera sul versante del lavoro: l’occupazione nella propria azienda è prevista stabile (o in aumento) a fine anno dal 58,4%, grazie anche all’ampio ricorso alla Cig. Ma l’87% degli intervistati ritiene abbastanza (53,5%) o molto prevedibile (33,6%) un forte aumento della disoccupazione nei prossimi sei mesi; il 54,9% abbastanza e il 28,7% molto prevedibile una forte riduzione degli occupati una volta venuto meno il divieto di licenziamento. Numeri che rendono ancora più urgente un piano di rilancio dell’economia italiana, a medio-lungo termine, che rimetta in moto la leva di domanda, investimenti e lavoro.
Sono i principali risultati dell’Indagine Congiunturale ed evidenze dell’impatto di Covid-19 sull’Industria di Padova e Treviso condotta da Assindustria Venetocentro, in collaborazione con Fondazione Nord Est, tra il 20 giugno e il 20 luglio su un campione di 560 aziende manifatturiere e dei servizi delle due province.
«Siamo di fronte a una pesante recessione economica – dichiara Maria Cristina Piovesana, Presidente di Assindustria Venetocentro –. Per contro la dinamicità delle imprese che vediamo tutti i giorni è il segno della voglia di reazione dei nostri territori, che va adeguatamente supportata. Dopo mesi di task force e stati generali, è urgente passare al più presto ai progetti reali e predisporre piani d’impiego delle risorse che siano seri e credibili, per incidere su nodi strutturali con riforme e investimenti, volti al rilancio dell’economia, dell’impresa e del lavoro. Il rilancio parte dalla capacità di spendere bene tutte le risorse disponibili, senza pregiudizi o veti ideologici autolesionisti, puntando innanzitutto alla crescita degli investimenti, ed evitando, al contempo, un aumento della spesa corrente. È come saremo capaci di gestire e accompagnare questi percorsi che farà la differenza. Nei mesi scorsi è stato giusto aiutare persone e attività. Ora si deve cambiare registro e affrontare con decisione le grandi riforme che il Paese aspetta da decenni: fisco, lavoro, giustizia, semplificazione. Bisogna agire: abbiamo l’urgenza, la consapevolezza e le risorse per farlo».
«La pandemia e il lockdown sono stati come uno tsunami – aggiunge Massimo Finco, Presidente Vicario di Assindustria Venetocentro – che ha provocato un contraccolpo senza precedenti in termini di produzione, di fatturato e di ordini e ha riguardato indistintamente le imprese di tutte le dimensioni. Ora dobbiamo reagire con un disegno chiaro e condiviso che ancora non si vede nell’azione di governo, puntando più su impresa e lavoro e meno sui sussidi. Invece vediamo che si vara un altro scostamento di bilancio per prorogare interventi a pioggia o che danneggiano le imprese (Cig onerosa). La cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti, utili a gestire l’emergenza e a guadagnare tempo, non sono comunque la soluzione del problema. Aziende e posti di lavoro non si salvano per decreto ma con la ripresa della produzione, della domanda e degli investimenti. Servono misure che producano crescita, investendo nella ripresa del sistema produttivo, che dà reddito e lavoro. Bisogna cominciare a parlare con i fatti, investire sul nostro futuro, cioè sui giovani e la formazione, sulle nuove tecnologie che il Covid ha accelerato, sulle imprese manifatturiere che esportano e si confrontano nel mercato mondiale».
«Il Recovery Fund e la programmazione dei fondi strutturali europei per i prossimi sette anni saranno decisivi – sottolineano i Presidenti Piovesana e Finco –. Il ruolo delle Regioni e delle imprese potrà essere importante, nella definizione degli obiettivi strategici, in stretto coordinamento con le linee nazionali. Le imprese sono pronte a condividere con la Regione la definizione di progetti pensati e realizzati sulla base di peculiarità e specificità del territorio, capaci non solo di riaccendere il motore della crescita, ma anche di costruire uno sviluppo nuovo e duraturo».