Quanto segue è una valutazione strettamente personale, scritto da chi ha vissuto in tutti i suoi passaggi, spesso non scritti dalla cronaca, le primarie 2014. Ero tra quelli che sostenevano che sottoporre alle primarie il sindaco uscente era una stupidaggine. Non venni ascoltato. Forse perchè, come va ripetendo in molte occasioni il segretario cittadino del Pd antonio Bressa sono “un coglione che non capisce un c**** di politica”. Sentimento per altro corrisposto, anche se io di solito nell’esprimere giudizi pubblici sono un po’ più prudente.
L’attuale situazione è ad un punto di svolta, che si scioglierà presumibilmente nelle prossime 24/48 ore.
Vediamone i protagonisti:
Massimo Bitonci, se ne sta relativamente tranquillo dopo la ricucitura, almeno formale, con Forza Italia e potendo contare su un sondaggio molto favorevole, tanto da suonare quasi come una fake new diffusa ad arte per accelerare l’attrattività del candidato della desta lepenista che, fino a prova contraria, potrebbe anche contare su un ulteriore contributo di voti, presumibilmente, che gli “osa” secodo i bene informati, mettere a disposizione l’ex candidato del centrodestra più lega a Cadoneghe Luigi Sposato.
Quel che resta degli ex di Forza Italia e suoi derivati, si è messo a disposizione di un ex militante del partito di Silvio Berlusconi. Tornano fianco a fianco Barbara Degani e Sergio Giordani, che probabilmente si sono conosciuti alle cene dei club azzurri. Poi Giordani è diventato un uomo di fiducia di Flavio Zanonato, tanto da passarci assieme anche le ferie in montagna, ed allora avanti a candidarlo con la sicurezza dei sondaggi (almeno così sostiene Massimo Bettin, l’altro dioscuro del Pd) e anche con la certezza che lunedì la direzione cittadina applaudirà con convinzione l’apparizione dell’uomo della provvidenza. Letteralmente della provvidenza: lamentano quelli che conoscono i conti del partito, che ha in carico tra l’altro anche gli stipendi di Bressa e Bettin, segnano per l’anno appena concluso un rosso Magenta. E quindi Giordani farrebbe valere l’articolo quinto “chi ga i schèi (per pagare la campagna elettorale) ga vinto”.
Di traverso ha provato a mettersi Jacopo Silva, già presidente dei giovani industriali, passato con l’azienda di famiglia in mezzo ai marosi della crisi, ed ora guardato con sospetto e sufficienza da chi una partita Iva non l’ha tenuta aperta manco un giorno. Colpevole Jacopo silva di fare gli stessi ragionamento con cui si è costretto Ivo Rossi a sottoporsi alle primarie, da me, che sono uno che secondo Bressa non capisce e non sa nulla, l’inizio della sconfitta del 2014.
L’unico che se ne sta in silenzio è Ivo Rossi, capro espiatorio perfetto delle ultime elezioni. “Era il candidato sbagliato” sostengono gli stessi che pubblicamente lo sostenevano senza se e con ma molto privati, a volte disgiuntamente inconfessabili. Vedremo se il prossimo candidato saprà prendere un voto in più di quelli ragranellati da Rossi tra il primo e il secondo turno del 2014.
Il convitato di pietra è Coalizione Civica, nuovo nome di Padova2020, non più utilizzabile dato che la legislatura che si va ad eleggere a maggio finirebbe due anni dopo la scadenza nel simbolo. Orfani di Fiore finito a promuovere una moneta virtuale, i civici* (*notare l’asterisco) propongono una coppia di settantenni in contrapposizione con il professore Arturo Lorenzoni, curriculum di tutto rispetto e faccia da brava persona. A chi se lo ricorda assomiglia ad un altro esperimento fatto per tenere tutta insieme la sinistra radicale. Era il 2004 e Flavio Zanonato reduce dalla scoppola subita con Giustina Destro, andava in via Anelli ad esibire il cartello “siamo tutti marocchini bianchi”. Slogan che rassicurò Daniela Ruffini, allora giovane esponente, in ascesa, poi diventata assessore all’immigrazione tanto amata dai padovani da vaere, al ballottaggio del 2009, due o tre punti percentuali in più, quando Flavio Zanonato annunciò che l’avrebbe scaricata. Per capire cosa succede oggi, nel 2017, e perchè queste rischino di essere le elezioni che regolano i conti del ‘900 anzichè le prime di questo millennio, occorre fare un passo ineitro di otto anni ed un altro di quasi trenta.
Primo passo indietro, otto anni fa. Le elezioni del 2009 sono un test che mette a dura prova il centro sinistra, dove a due giorni dal voto, consapevoli che quella sinistra radicale, che allora era in coalizione, avrebbe potuto far perdere, Zanonato, il sindaco uscente dice che Daniela Ruffini non avrebbe fatto parte della Giunta.
Allora Zanonato, sia pur a fatica, sotto la spinta delle poche persone che ascoltava davvero, capì il pericolo è si “liberò” della compagna che sbagliava, salvo poi metterla alla presidenza del Consiglio dalla cui postazione ha bombardato per 5 anni.
Ma l’alterità di quella sinistra alla sinistra riformista, continua ad agitare quel mondo e a costituire un richiamo, quasi atavico, alla purezza, alla diversità. E’ un movimento che prende magmaticamente forma nel corso del quinquennio 2009 – 2014, quando alcuni esponenti di quel mondo sentono un richiamo che li rimette assieme un correntone interno alla sinistra a sinistra (vedasi alla voce Ostanel, Dalla Barba, Scapin, Ruffini): quattro consiglieri comunali in meno che sono determinanti a rendere una cruna dell’ago il passaggio in Consiglio di qualsiasi proposta della maggioranza.
Non a caso nella primavera del 2014 Daniela Ruffini si candida per conto proprio e gli altri danno vita Padova2020.
Quella sinistra, che considera quella riformista, un nemico se non da abbattere almeno da conquistare, vede improvvisamente e insperatamente l’occasione nel 2013 quando il PD, apre alle primarie.
Per la prima volta la guida della sinistra era diventata contendibile, anche da una sinistra antagonista nascosta nella pancia dei 2020.
Ma non c’è solo la frattura delle due sinistre che affonda le sue ragioni negli anni ’70. Sempre a quella stagione si ispira un certo mondo cattolico, che attorno a 2020 si è riconosciuto, che ha radici di riferimento, consapevole o meno, in quel Toni Negri e in un pensiero che unisce un mondo dei valori, fatto dalle anime belle (l’acqua bene comune ad esempio) con la sinistra antagonista che usa questi temi come strumento di lotta politica.
Insomma il 2014 mette a contatto le due anime della sinistra fino ad allora estranee e lontane, se non addirittura in combattimento fra loro (7 aprile e dintorni). Dichiara che il centro sinistra riformista ha smarrito se stesso ed è disponibile a farsi guidare dai compagni che sbagliano.
A sbagliare poi è stato il Pd che all’indomani delle elezioni sceglie la scorciatoia del capro espiatorio: il dogma “tutta colpa di Ivo Rossi” ed ancora “con un altro candidato avremmo vinto” senza però saper mai indicare quale. Dalla mancata riflessione post 2014, si arriva all’oggi, dove abbiano una sinistra riformista che si fa dettare tempi e condizioni da quegli stessi che l’hanno fatta perdere.
Il resto è storia di questi giorni, con la sinistra riformista che ha perso se stessa e la sua anima dentro a manovre tattiche, che è costretta a ricorrere ad un candidato esterno ed estraneo alla sua tradizione (fatto delicato perché questa area ha prodotto più di 20 anni di governo) e che è paralizzata in attesa di sapere cosa deciderà una sinistra antagonista, che poi potrebbe ripetere, coerentemente con la storia recente e di quella del novecento, la via del primo turno da soli.
E tutto ciò perchè il PD ha dimostrato debolezza nel 2014 e con le primarie ha consentito che una listina dal 3% come quella dei verdi della D’Agostino potesse presentarsi con spoglie mimetizzate e dunque mettersi nelle condizioni di influire sull’esito finale del voto.
Le candidature di Curi e Rizzetto, stanno dentro questa storia del 900 che non muore, così come quella di Lorenzoni sta dentro a quelle dinamiche interne al mondo cattolico anticomunista di cui Negri, ed a ben guardare anche Renato Curcio studente a Trento, era un esponente di primo piano.
C’è una comicità involontaria nella Foto di Curi (il tuo 5×1000 all’AUSER per non dimenticarti degli anziani), è il miglior manifesto di una storia, delle sue fratture e dei suoi conflitti dentro la sinistra del profondo ‘900, che continua anche quando non c’è più nè la classe operaia nè il sol dell’avvenire.
Magari cambiando l’approccio cambierà anche il risultato e finalmente mettendo al centro i programmi e le cose che uniscono si riuscirà anche ad unire questo centrosinistra, litigioso per motivi atavici, che rischia di consegnare Padova ad una guida lepenista.
Mutuando il motto di Fidel Castro, nel frattempo morto persino lui, si potrebbe dire, hasta la derrota, siempre.
Alberto Gottardo