Scrivere della morte di un collega o è molto facile o è molto difficile. E’ molto facile quando del giornalista conosci solo la parte professionale ed allora tratti quella morte come tante altre che capita di scrivere nel mestiere che troppo spesso è la fredda cronaca della fine di una vita. Scrivere della morte di Claudio però è difficile come raccontare in pochi tratti una intera vita. Come si fa a raccontare Claudio Cerroni, con quella mascella serrata prima della battuta fulminante, gli occhi che si sbarravano a raccontarti con la stessa forza un fatto tragico e una barzelletta. Claudio Cerroni non era solo il collega dell’Agi. era quello che ti faceva sopportare un pomeriggio sotto il sole ad aspettare i legali di Abn Amro o l’ennesimo ministro con l’ennesimo ritardo. Se la vita è quanto di importante ti accade quando stai facendo altro, allora sono contento di aver riempito quegli spazi tra un servizio e l’altro con lunghe chiacchierate con Claudio. Uno che si confidava e con cui potevi confidarti. Come tutti quelli che hanno sofferto tanto sapeva al contempo sdrammatizzare e dare il giusto peso alle vicissitudini pesanti della vita. Dopo il suo primo lungo ricovero abbiamo passato una bellissima serata a casa mia con i colleghi delle agenzie. Era la nostra maniera di dargli il ben tornato. Sapevamo che prima o poi avremmo dovuto scrivere quelle righe difficili, che ti capita di dover scrivere e cancellare e riscrivere e cancellare di nuovo quando hai paura di essere banale o di raccontare qualcosa che vuoi che rimanga solo tuo e suo. Io a Claudio volevo bene perchè era un po’ di più di un collega. Era un uomo che stava guardando in faccia con serenità alla sua vita troppo corta per accoglierne la fine con un pugno di rabbia. Era un papà che ti raccontava la felicità di avere due figli che adorava tantissimo e con un sospiro e una frase interrotta ti faceva capire di quanto gli pesasse sapere che presto non li avrebbe potuti abbracciare più. L’ultima volta che ci siamo visti eravamo tutti e due di fretta. Ma cinque min uti per raccontarci come stava andando davvero l’abbiamo trovata. Non sapevo che fosse l’ultima. Non lo sai quasi mai nella vita. Gli ho detto “ciao Claudio, dobbiamo rifarla una cena come quella volta a casa mia”. Lui ha sorriso quasi in maniera dolente. Di lui mi porterò dentro un ricordo bello, di una persona schietta, che non si prendeva troppo sul serio. A Silvia sua moglie mando un abbraccio fortissimo.
Alberto Gottardo