Nelle intenzioni del Vicepresidente e Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio dovrebbe essere la «Waterloo del precariato». Nei fatti, finirà con ogni probabilità a portare una diminuzione dell’occupazione, introducendo una serie di lacci e lacciuoli che aumentano i costi che le imprese devono sostenere e gli adempimenti burocratici da affrontare. Il “Decreto dignità”, attesissimo primo provvedimento del nuovo governo giallo-verde, è accolto con scetticismo da Confapi Padova.
Il decreto, approdato in Consiglio dei Ministri alleggerito rispetto alle previsioni e alle bozze circolate nei giorni scorsi, prevede in particolare una stretta per i contratti a termine, che potranno durare al massimo 24 mesi, contro gli attuali 36, con le possibilità di rinnovi che scendono da cinque a quattro, introducendo l’aumento pari allo 0,5% dei contributi e l’obbligo di indicazione della causale dopo il primo contratto. Misure che andrebbero a impattare già da subito sui contratti in scadenza entro fine agosto che, secondo le stime di Fabbrica Padova, centro studi dell’Associazione, saranno circa 56 mila in Veneto e più di 6 mila solo nel territorio della provincia.
«Le imprese attendevano misure strutturali destinate a rilanciare lavoro e produttività e a stabilizzare i contratti. E invece ci troviamo di fronte a un decreto che si muove nel senso contrario a quello di favorire l’occupazione, con il rischio di un proliferare dei contenziosi dovuto alla reintroduzione delle causali e di un incremento del costo del lavoro per effetto dell’aumento dei contributi a carico delle imprese. L’impressione è che si sia voluto prendere in tutta fretta un provvedimento a effetto, ma senza prima approfondire problemi che andavano affrontati in altro modo», commenta il Presidente di Confapi Padova Carlo Valerio. «Ricordiamo bene che, prima che le causali venissero abolite, era molto comune minacciare una causa contro i propri datori di lavoro, mentre, con l’introduzione del Jobs Act, il numero di cause da lavoro in Italia si è praticamente dimezzato. Il rischio è che, rendendo più costosi i licenziamenti e più convenienti i contratti inferiori ai 12 mesi – che non richiedono di specificare una causale – si finisca con l’incentivare le imprese ad accelerare l’avvicendamento dei lavoratori. Non solo, un altro aspetto da considerare è questo: mentre i contratti a tempo determinato vengono resi più costosi, non si fa nulla per creare le condizioni che favoriscano la loro stabilizzazione».
Dal decreto è inoltre stata stralciata la parte politicamente più spinosa, relativa al ritorno dei voucher, rinviando la discussione al Parlamento. «Quello dei voucher era un falso problema. Chi ha preceduto l’attuale esecutivo, invece di correggere e far funzionare meglio uno strumento efficace ha preferito cancellarlo, privando i lavoratori e le imprese di uno strumento flessibile e trasparente, con la conseguenza di far crescere il lavoro nero. Speravamo che, operate le dovute correzioni, i voucher potessero tornare, invece pare che non sarà così», conclude Valerio.
Fabbrica Padova ha stimato a suo tempo come il numero dei voucher venduti in Italia oscillasse fra i 130 e i 145 milioni nell’ultimo anno. 18,5 quelli venduti in Veneto, 3,3 milioni quelli nella provincia di Padova. Anche ipotizzando che siano stati tutti utilizzati, avrebbero rappresentato appena lo 0,53% del cumulo di 618 milioni e 944 mila ore lavorate dai dipendenti padovani (considerando 1.879 ore medie lavorate in un anno da un dipendente con un contratto di lavoro full-time). Erano davvero un problema?
Nella foto Carlo Valerio