Nove laureati su dieci lavorano e lo fanno sul territorio, contribuendo a far ripartire il tessuto industriale del Nord Est, con un tasso elevatissimo di soddisfazione da parte delle aziende. I dati emergono da un’indagine, svolta congiuntamente da Fondazione Nord Est e Università di Padova, che sfata luoghi comuni e fornisce risposte precise sullo sbocco occupazionale dei laureati magistrali in Scienze della Comunicazione dell’Ateneo patavino
Alto tasso di occupazione: il Nord Est sceglie i laureati padovani
Su un campione di 200 laureati – negli ultimi dieci anni – 165 hanno risposto (82%). L’88% svolge un’attività retribuita, il 7% l’ha fatto in passato, il 4% non ha avuto esperienze lavorative. Forte è il legame con il territorio: 8 ragazzi su 10 lavorano infatti in Veneto (segue la Lombardia con il 9%) e l’81% è stato scelto da aziende private. Un alto tasso occupazionale, dunque, a scapito di “sensazioni” che vorrebbero Scienze della Comunicazione come fabbrica di disoccupati. Un altro mito, quello della precarietà, è confutato: la situazione contrattuale vede 35% di lavoratori a tempo indeterminato, 31% con contratti determinati, in totale un 66% di impiegati contrattualizzati. Ci sono poi i freelance (11%), mentre i lavoratori parasubordinati (co.co.co, co.co.pro) sono solo l’8%.
Curriculum e web: quando ci sono le competenze il lavoro si trova
Come ottengono lavoro i laureati in Scienze della Comunicazione? Un terzo (32%) grazie al metodo più tradizionale: l’invio del proprio curriculum vitae: il 14% grazie ad annunci in Rete o alla presenza su social network quali Linkedin e Facebook, l’8% attraverso lo stage, mentre solo il 6% grazie a conoscenze e contatti diretti. Segno che di comunicatori c’è bisogno e per sfondare è necessario avere le competenze adatte. Il 56% degli intervistati ha affermato di essere, o essere stata, la prima figura che si occupa di comunicazione per il proprio datore di lavoro. I quattro ambiti più diffusi di lavoro sono: marketing e comunicazione, web e social media, pubblicità, vendite/commerciale. L’informazione è solo al quinto posto. I profili dei laureati in Scienze della Comunicazione coprono infatti uno spazio ampio, non solamente il campo giornalistico come potrebbe apparire all’esterno.
E le aziende? Due terzi delle imprese manifatturiere del Nord Italia investono in comunicazione
Anche i dati raccolti direttamente dalle imprese (650 medie aziende tra Nord Est, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna) confermano la valenza strutturale dell’investimento in comunicazione. Due terzi delle imprese hanno infatti sviluppato una struttura interna o si affidano a consulenze esterne, mentre il 33% non comunica, quasi sempre perché non lo ritiene necessario. Chi investe nella comunicazione lo fa sul lungo periodo (7 aziende su 10) e soprattutto lo fa con piena coscienza degli obiettivi: il 44% degli interpellati punta ad ampliare i mercati, il 24% cerca un posizionamento per contrastare la concorrenza, il 10% gestisce il passaggio generazionale. Ad occuparsi di comunicazione sono spesso 2 o 3 persone (55%), ma un quinto delle imprese occupa più di 4 addetti con contratti a tempo indeterminato o comunque da dipendente a tempo determinato. Sia le imprese che si rivolgono ai consumatori finali, sia quelle che operano nel business to business dichiarano di investire mediamente il 2% del proprio fatturato in comunicazione ma, mentre le prime investono maggiormente in strumenti tradizionali (circa il 70%), le seconde mostrano di dedicare il proprio budget in ugual misura alla pubblicità tradizionale e a investimenti legati al sito, ai social network, ai blog, alla presenza sui motori di ricerca. In prospettiva, tuttavia, l’attenzione alla potenzialità rese disponibili dai nuovi strumenti appare in crescita tanto che il 60% delle PMI manifatturiere dichiara che nel prossimo biennio il canale digitale supererà quello tradizionale.
Comunicare il made in Italy
Tra le medie imprese manifatturiere italiane si possono individuare quattro profili di comunicatori sulla base sia del mercato di destinazione (consumatori finali o imprese), sia in base alla propensione all’internazionalizzazione che rappresenta la vera variabile discriminante nelle scelte di comunicazione.
Un primo profilo è rappresentato da “I nuovi narratori della qualità e della cultura italiana” (33%): si tratta di imprese che si rivolgono ai consumatori finali del Made in Italy in tutti i settori, dall’alimentare alla meccanica passando per il tessile e il design, che vendono all’estero più del 50% del proprio fatturato e che hanno una strategia strutturata di comunicazione, che combina sia elementi tradizionali sia una attenzione crescente agli strumenti social. Il secondo profilo riguarda “imprese ad alto contenuto tecnologico” che valorizzano le capacità tecnologiche italiane vendendo ad altre imprese. Hanno un buon livello di investimento in comunicazione (oltre il 3% del fatturato) e puntano in misura maggiore sugli strumenti innovativi. “I motori di trasmissione del Made in Italy” sono quelle imprese btb che si caratterizzano per una forte presenza di tessile, alimentare e design che si integrano nelle filiere produttive internazionali portando il contributo di qualità, creatività e personalizzazione tipico della manifattura italiana. Investono poco più del 2% del fatturato in comunicazione e puntano su strumenti tradizionali.
Infine, “I ritardatari a rischio” sono le imprese non internazionalizzate che per il 49% dichiarano di non avere specifiche competenze dedicate alla comunicazione. “Oggi per competere e presidiare i mercati internazionali – ha commentato Stefano Micelli, direttore scientifico di Fondazione Nord Est – le imprese manifatturiere italiane devono saper coniugare il saper fare e il ben fatto con la capacità di narrare le caratteristiche, la cultura e la qualità del Made in Italy”.
«Questi dati sono altamente confortanti – spiega Giuseppe Zaccaria, Rettore dell’Università di Padova – perché rappresentano storie di ragazzi che sono riusciti a compiere quell’ultimo, decisivo, miglio che collega la carriera accademica all’entrata nel mercato del lavoro. La ricerca conferma quanto diceva anche Almalaurea sull’alto tasso di occupazione degli studenti padovani, oltre che a svelare un forte interesse delle imprese del territorio per i nostri laureati, un legame che va ulteriormente rinsaldato, continuando a lavorare nella giusta direzione».
«Il corso di laurea in Comunicazione di Padova – ricorda Michele Cortelazzo, Direttore del Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari dell’Università di Padova – ha l’abitudine di monitorare periodicamente gli sbocchi occupazionali dei suoi laureati magistrali e l’adeguatezza del suo progetto formativo anche nei confronti delle esigenze del mondo di lavoro. È questo un modo serio per uscire dalle affermazioni non documentate sulla inconsistenza della preparazione degli studenti in Comunicazione e sull’inutilità di questo corso di studi. I risultati, dieci anni fa come oggi, ci danno ragione, ma ci spingono anche a modificare alcuni aspetti del piano didattico, per renderlo sempre più adeguato ai tempi. Partendo, però, dai dati e non dalle impressioni o dai luoghi comuni».