Carlo Melina, bravo giornalista televisivo di Padova sul documentario di via Anelli scrive: Ho visto il documentario su via Anelli. Meglio, sullo sgombero di via Anelli. Mi è sembrato piuttosto noioso. Meglio, noiosissimo. Didascalico. Poco televisivo. Ma anche poco cinematografico. Alcuni minuti di girato di gente che parla. Niente immagini. Niente ciccia. “E’ un punto di vista su via Anelli” ha chiarito il regista, dimostrando grande onestà intellettuale. Meglio, il punto di vista su via Anelli dell’assessore Ruffini – ovviamente presente in sala.
Piccolo appunto di merito: se la formula doveva essere quella del sermone, il regista avrebbe dovuto levare il microfono dal maglione collo alto di Ruffini e piazzarlo sulla camicia lisa del personaggio “barbiere-musicista”. Grazie a sindaco, Ruffini e comune tutto (ossia grazie a chi ha in parte finanziato il documentario), il nostro ha trovato una casa degna e un posto (mi pare in via Tommaseo) dove esercitare la sua professione. Non vedo l’ora che mi crescano i capelli per farmeli tagliare da lui. Alla fine della proiezione, in un italiano incerto, ma con splendida naturalezza, ha ringraziato regista, comune, sindaco e ovviamente Ruffini, ma anche i sacerdoti della parrocchia che lo vanno a trovare. Perché, ha detto lui, non si vive solo di cose, ma soprattutto della parola di Dio. Ruffini ha applaudito. Io gli ho dichiarato amore eterno.
Carlo Melina
Nota del direttore di Padova24ore.it Alberto Gottardo: Ho visto anch’io il documentario. Tecnicamente davvero ben fatto. Come diceva Claudia Vatteroni alla fine della proiezione, manca il prima ed il dopo. Parla “solo” dello sgombero. Chi lo ha realizzato ha scelto di raccontare uno spicchio piccolo di una grande storia, e lo ha fatto molto bene. Con un grosso neo: troppo in ginocchio nei confronti dell’assessore Daniela Ruffini, a cui umanamente vogliamo bene. Però, come sempre c’è un però, anzi più di uno. Vederla ritratta come se fosse Napoleone ad Austerlitz non fa giustizia nè a lei nè a Napoleone. Daniela Ruffini è stata senz’altro tenace e gliene va dato atto. Però lì c’è stato un lavoro corale che fa fatica ad apparire. C’è poi un problema che si ricollega al fatto di aver saltato a piè pari il prima dello sgombero: per contrasto con quanto rappresentato dai giornali, in questo documentario si eccede dalla parte opposta facendo sembrare che in via Anelli ci fossero solo bravissime persone, delle sorta di angeli neri, più buoni e più bravi di noi italiani brutti e cattivi. Gli italiani, una parte, sono stati davvero brutti e cattivi: sono stati brutti e cattivi alcuni proprietari degli appartamenti che hanno munto il mungibile, sono stati brutti e cattivi i tossicodipendenti che cercando la droga hanno generato tutto quel disastro. Sono stati brutti e cativi però tutti quelli, residenti compresi, che hanno tollerato per comodità e menefreghismo tutto quello schifo per troppi anni. Un pezzo di via Anelli è un po’ colpa di tutti, nigeriani incensurati ma conniventi compresi. Lo smantellamento di via Anelli, un piccolo pezzetto, è merito di tutti noi, compresi i padovani che hanno sacrificato sul falò della necessità una quota importante degli appartamenti costruiti negli anni per gli italiani ed ora dati ai nuovi concittadini, che di fatto sono stati premiati per gli anni di purgatorio con appartamenti pubblici o a canone agevolato quando avrebbero anche potuto andari a cercare un appartamento sul mercato libero, o comperarlo, come ha fatto chi scrive accendendo un mutuo.
Complimenti a Marco Segato, ha avuto una bella idea, sviluppata con tanto amore. Alla fine, a mente fredda, rimane una ottima ora di documentario, visto da una certa angolazione, quella delle persone per bene, con due bei protagonisti che danno speranza. C’è qualche strizzatina d’occhio di troppo verso l’asessore Ruffini: si meritava di vedere riconosciuto il proprio lavoro che nessuno discute, ma raffigurarla come una sorta di An Francesco che regge sulle spalle il complesso Serenissima … è fuori luogo. Sarebbe stato bello che qualcuno altrettanto capace avesse realizzato un documentario passeggiando e lottando tutti i giorni in strada con Cinzia Serrano e Michela Bochicchio che sulla trincea del commisariato Stanga si sono avvicendate e con Paolo Manfrin, instancabile “rompicoglioni”: se il complesso Serenissima è stato chiuso è anche merito suo. Sarebbe stato bello fare una giornata con la eroinomane coi capelli rossi e le vene devastate che tutti quelli che per lavoro di cronaca da marciapiede hanno visuto in via Anelli, si ricordano. Biognava raccontare con immagini anche il lavoro dei vari Tyson e Cicciobello, spacciatori che chiusa via Anelli hanno trovato un altro appartamento lì vicino e continuano a spacciare infischiandosene delle leggi, oltre che della riqualificazione e dei buoni sentimenti. Nessuno lo ha fatto. Peccato. I cronisti dei quotidiani hanno raccontato con tutti i loro limiti quelle storie meno edificanti del barbiere nigeriano e dell’operaio nordafricano che vengono liberati dal Ghetto. E’ stato detto che esageravano, all’inizio negando addirittura che quello di via De Besi fosse un muro. Chi via Anelli l’ha vissuta prima dello sgombero si ricorderà anche quella parte della storia, e può raccontare che quanto visto al cinema l’altra sera era una bella favola, in cui però mancava il lupo e la strega cattiva. Era la parte non avvelenata della mela
Alberto Gottardo