Cosa può fare uno che, come chi scrive, ha la possibilità di avere orari flessibili, un martedì mattina di pioggia?
Andare ad esempio a tagliarsi i capelli. Ed allora questa piccola storia lunga 75 minuti inizia alle 11:18 quando timbro il biglietto del tram alla fermata palasport. Otto minuti e mezzo dopo sono alla fermata della stazione ferroviaria dove scendo e raggiungo via Tommaseo. Di fronte alle cucine popolari gestite da Suor Lia c’è già un piccolo gruppetto di persone dalle diverse storie che cercano di ripararsi da una fitta pioggerellina, in attesa che apra il piccolo portone che dà sue due ambienti contigui: in uno si mangia con il viso chino sul piatto e i pensieri chissà dove dopo aver caricato un vassoio nella sala più in fondo. Almeno ora che c’è un’amministrazione comunale meno muscolare, cani antidroga e vigili urbani usati a mo’ di spaventapasseri, come se questa gente potesse avere più aver paura di qualcosa o di qualcuno, non se ne vedono. Dall’altra parte della strada, come cantava Zucchero Fornaciari in un suo strugente blues, ci sono io, che vado a tagliarmi i capello da Pequan Zao. Solo che Pequan non c’è.
“E’ tornato a casa per la festa dei morti – spiega il figlio Dong Fu, per tutti “Stefano” – torna fra un paio di settimane”. E così a tagliarmi i capelli c’è il figlio di Pequan, nato in Cina ma ormai italiano sia nei modi che nella parlata. Papà da due anni di un bimbo, il primo della famiglia a nascere in Italia. Dong Fu ha 26 anni e un negozio tutto suo in via Chiesanuova. Parliamo dei bambini, della scuola materna, dell’essere padri. “Eh ormai io in Cina ci vado solo in vacanza – spiega Stefano il figlio di Pequan – mio papà credo lo abbia capito, va bene così”.
Ed in un quarto d’ora il taglio dei capelli è fatto: 8 euro con ricevuta e in più anche un sorriso.
Sotto i portici di piazza De Gasperi incontro Antonio Bressa e Andrea Micalizzi: incontrano un gruppo di commercianti della zona. Devono decidere insieme dove mettere un paio di statue dell’artista Rabarama che dovrebbero ingentilire un po’ il giardinetto realizzato cinque anni fa dall’amministrazione comunale. Una statua dovrebbe andare lì, un’altra nella nuova piazzetta ricavata dallo spazio lasciato libero dalla palazzina ex Avis. A consigliare i due assessori anche Luigino Gennaro, dirigente comunale di lunghissima esperienza, prossimo alla pensione tra tre settimane. “Scarse” sottolinea lui. A me Rabarama francamente ha sempre fatto più impressione che gioia, ma pare che le statue arrivino più o meno gratis, ed allora non val la pena probabilmente di fare tanto gli schizzinosi.
Vado a prendere il pollo alla boutique orientale, come l’ho sempre chiamata scherzosamente io con l’amico Mohamed Sbahi, che ha aperto ormai due anni fa il negozio Paprika di via Trieste. Dentro non c’è il fratello di Mohamed, Amgiad, c’è la mamma dei due ragazzi. Pollo due euro e 40, e siccome non c’era fretta, il macellaio me lo ha anche depezzato e disossato sul petto, fatto già a bistecche pronte per finire sulla piastra. Già me lo gusto assieme al riso basmati e i fagioli neri del Brasile, ma confezionati a Monselice.
Alla fermata di via Trieste il tram arriva in tempo per fare anche il viaggio di ritorno con un unico biglietto. In tram c’è un bimbo che mi sorride, ha i tratti che sanno di steppa dell’Asia centrale. La mamma è vestita di una elegante tunica blu cobalto con inserti dorati. “Viene dal Kazakistan?” butto là, quando si accorge che il bimbo mi sorride. “No, quasi, spiega lei, Tagikistan. Sai dov’è?”. “E come no” le rispondo io, sperando che mi creda. Il bimbo ride. I due scendono evitandomi ulteriori bugie geografiche. Il tram si ferma alla tappa denominata Palasport alle 12.22. In poco più di un’ora ho fatto mezzo giro del mondo. Con un’euro e 30 centesimi. Padova io l’adoro anche e soprattutto per queste mattinate così. Quando senti che il mondo lo respiri anche qui.
Alberto Gottardo