Erminio Alajmo (Appe) contesta il “pasticcio” della Regione sugli agriturismo

 

«È un netto passo indietro rispetto alla normativa precedente, già aspramente contestata».
Non usa mezzi termini Erminio Alajmo, Presidente dell’APPE (Associazione Provinciale Pubblici Esercizi) di Padova, nonché numero uno della FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi – Confcommercio) del Veneto.
Il rappresentante dei ristoranti e trattorie attacca sulla recente approvazione della nuova normativa sugli agriturismi, votata dal Consiglio regionale del Veneto: «siamo di fronte – afferma – a una legge confusionaria, raffazzonata e, soprattutto, iniqua e controproducente».
E non ha difficoltà a spiegare ogni singola parola.

«Confusionaria, perché mette sullo stesso piano l’agriturismo, il cosiddetto “turismo verde”, con l’ittiturismo e il pescaturismo, chiamati anche “turismo blu”. Sono mondi completamente diversi, che vanno regolati con norme specifiche e settoriali, come ha sottolineato anche in aula più di qualche Consigliere regionale».

«Legge raffazzonata, perché parte da un progetto di legge di due anni fa, rimasto nel cassetto per tanti mesi e poi, all’improvviso, viene approvata dal Consiglio in seduta quasi “balneare” (su 60 consiglieri hanno votato la legge in 38), accogliendo all’ultimo minuto degli emendamenti d’urgenza».
«Iniqua, perché permette agli agriturismi di trasformarsi in veri e propri ristoranti, con tanti posti a sedere, utilizzo di prodotti acquistati sul libero mercato e, quindi, senza alcuna connessione con l’azienda agricola».

«Alla fine – puntualizza Alajmo – è una legge controproducente per lo stesso settore agrituristico: invece di tutelare e valorizzare le attività serie e che lavorano nel principio della normativa, finisce per dequalificare l’intero comparto: basti pensare che gli ingredienti dei piatti possono provenire per il 50% da produzioni extra-aziendali, anche al di fuori della Regione Veneto, percentuale che sale addirittura al 75% nelle zone montane del Vicentino, Trevigiano e Bellunese!».

Le associazioni dei ristoratori si lamentano quindi, a ragion veduta, della concorrenza sleale che deriva dalle attività agrituristiche: «Non ci va giù – conclude Alajmo – che gli agriturismi siano visti come i “paladini” della tipicità e della territorialità, quando invece li incontriamo spesso nei centri acquisti a comprare gli stessi prodotti che usiamo noi ristoratori. E che possano beneficiare di agevolazioni di tutti i tipi, quando invece si trovano a svolgere, in modo surrettizio, la stessa attività dei ristoranti e trattorie».