“Non c’è solo Berlusconi ad avere un problema di retroattività. In verità è un problema che abbiamo tutti noi cittadini difesi (si fa per dire) da uno “statuto del contribuente” che prevede espressamente che “le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo” e che viene disatteso sempre e comunque. Per cui, visto che ha il valore di una grida manzoniana, si abbia la decenza di toglierlo di mezzo”.
E’ duro il commento di Fabio Di Stasio, presidente dell’Upi (Unione Provinciale Imprese) e direttore di Artigianfidi Padova sull’ultimo “stop & go” del governo in materia di tasse.
“Nell’arco di 24 ore – dichiara – in sede di stesura definitiva del decreto siamo passati dalla deducibilità del 50% sugli immobili strumentali (finanziato col gettito Irpef sulle seconde case, provvedimento retroattivo), all’esatto contrario, ovvero niente Irpef e niente deducibilità”.
“Non che alle imprese la deducibilità non andasse bene anche se era pochissima cosa – continua Di Stasio – ma è curioso che per limitare il peso delle tasse (che sono a livelli scandinavi senza averne i benefici) si debbano sempre aumentare … le tasse. Si toglie da una parte e si mette dall’altra e mai una volta che si scelga di ridurre le spese!”
A questo punto aumentano le preoccupazioni.
“Siamo in attesa – continua il direttore di Artigianfidi – del decreto del “Fare 2” che il ministro Zanonato ha anticipato al Meeting di Rimini e che speravamo fosse oggetto del Consiglio dei Ministri del 28 agosto. Esso dovrebbe contenere le attese norme sulla compensazione dei crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione con le tasse. Spero che le buone intenzioni di Zanonato non trovino ulteriori ostacoli anche perchè, viste le difficoltà con cui le imprese accedono al credito, la questione è di vera e propria sopravvivenza”.
Drammatica la sequenza dei numeri: in un anno (maggio 2012 – maggio 2013) i prestiti bancari alle aziende sono diminuiti di 41,5 miliardi di euro, pari al -4,2%. Meno credito e anche più caro con un tasso medio del 4,85% per i prestiti fino a 250 mila euro, il che pone l’Italia al secondo posto dietro alla sola Spagna per i tassi più alti d’Europa.
Altro record negativo poco invidiabile in Europa anche per i tempi di pagamento della Pa italiana: 170 giorni, vale a dire 109 giorni in più rispetto alla media Ue.
“Gli imprenditori italiani – conclude Di Stasio – pagano molto caro il ritardo dei pagamenti della Pa rispetto ai 30 giorni previsti dalla Direttiva europea in vigore da quest’anno: infatti, nell’attesa di quanto loro dovuto, sono costretti a finanziarsi rivolgendosi alle banche e ciò viene stimato in un extra costo di ulteriori 2,2 miliardi. Stimato. Ma la verità è che il credito è ridotto al lumicino e che è proprio su questo fronte che il governo Letta dovrebbe impegnarsi: dare credito alle imprese significherebbe rimettere in moto l’economia e con un’economia che gira forse non servirebbe pensare ad una service tax che sarà ancora una stangata soprattutto nei confronti delle piccole imprese”.