Gianfranco La Grassa: “Per quanto tempo sopportare la confusione dei ruoli?”

 

Il Presidente della Repubblica ha sentenziato che la politica dovrebbe occuparsi di più di economia. Sembra una semplice opinione; che tuttavia quando esce da quel pulpito, e in occasioni ufficiali, si trasforma in una precisa indicazione politica. Fare politica, compresa quella economica, spetta all’esecutivo con la supervisione del legislativo. Incredibile che chi blatera di difesa della Costituzione, aggredita dai “barbari”, sia poi così strabico da non vedere che in Italia il Presdelarep è solo il garante d’essa; i suoi interventi a questo dovrebbero essere mirati, senza nessuno sconfinamento nell’esecutivo. Altrimenti, è ora che anche da noi si elegga questa carica, con metodo alla francese o all’americana, tra due schieramenti contrapposti; lasciando però la decisione agli elettori, che così sceglieranno chi deve essere l’effettivo capo dell’esecutivo, non un semplice garante di ciò che viene continuamente “strappato” a seconda delle preferenze di una parte politica.
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Veniamo poi al contenuto dell’affermazione: la politica deve occuparsi di più – e, immagino, soprattutto in questo periodo di crisi – di economia. Affermazione di per sé di buon senso; ma un po’ come quello che suggerisce di cuocere per almeno 7-8 minuti un uovo se lo si vuol avere ben duro. Intanto, ogni volta che ci sono incontri con Gheddafi o con Putin e altri del genere (recentemente anche con il Turkmenistan per un rilevante accordo sul gas), invisi ad un certo schieramento politico ben individuato, si concludono affari per miliardi; soprattutto per alcune nostre grandi imprese di punta, del tutto strategiche per lo sviluppo e quindi per una possibile ripresa economica; ma non solo per queste, perché ne beneficiano vasti settori della piccolo-media imprenditorialità italiana. Simili affari, incredibilmente, non sono valorizzati e propagandati per quello che sono nemmeno da chi li realizza, dalla parte governativa. Dagli altri sono comunque combattuti ad oltranza.

Interessarsi di economia (di politica economica) non significa però fare solo affari; certamente, vi sono anche altre scelte. Tuttavia, nell’epoca (multipolare) in cui stiamo entrando, la politica estera è fondamentale per l’economia, assai più di quando si cianciava a vuoto di “globalizzazione”, come se esistesse soltanto la “mano invisibile” del mercato mondiale. Simile visione superficiale è stata possibile per una decina d’anni, dopo il “crollo dell’Urss”, con il mondo dominato e regolato da ambienti statunitensi (non da un’unica “mente direttiva”). Oggi reinizia un confronto più simile a quello a cavallo tra otto e novecento, dopo il declino del dominio inglese. La politica estera degli Stati nazionali, per null’affatto scomparsi come voleva la vulgata di destra e di sinistra (in specie dei settori “estremi” di quest’ultima), è ridivenuta essenziale anche per l’economia.

Se poi parliamo di una politica economica rivolta specialmente all’interno, è del tutto evidente che quest’ultima, come quella estera, dipende dalla compattezza di un esecutivo. Se tale compattezza viene a mancare – e perché una parte degli eletti nello schieramento di maggioranza si stacca di fatto da quest’ultimo e ne paralizza il funzionamento (lasciamo stare i motivi per cui lo fa, che sono tuttavia molto scoperti) – non ha senso pretendere che l’esecutivo in questione si dedichi esclusivamente all’economia, come se questa fosse staccata da tutti gli altri aspetti della politica; e soprattutto dalla politica estera, che quella parte staccatasi contesta in toto, proprio come l’opposizione.

A questo punto, è chiaro che si deve scegliere che cosa s’intende per “democrazia”. I semplici giochi parlamentari per paralizzare un governo e arrivare, con il beneplacito del “garante della Costituzione”, a varane un altro che si “interessi di economia”, nel senso di rovesciare completamente l’indirizzo generale della politica (in primis quella estera) del precedente, quello che aveva ricevuto la maggioranza dei voti? Oppure, attenersi all’adesione (se non è di pura forma) al concetto di “democrazia” elettoralistica, dando quindi di nuovo la scelta a chi vorrà andare a votare? Questo si dovrà chiarire, e speriamo presto. Parlare di economia – come accennato dal Presidente della Repubblica in merito a politiche che spettano all’esecutivo – è del tutto ambiguo nella sua assoluta genericità; e può destare sospetti (magari impropri) che vanno comunque fugati, e assai presto.

Gianfranco La Grassa