Il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, oggi domenica 27 dicembre, ha aperto la Porta della Misericordia della Cappella del Carcere Due Palazzi di Padova, che diventa così chiesa giubilare per i detenuti e per quanti nei prossimi mesi potranno vivere il giubileo in carcere: dai gruppi parrocchiali, che da alcuni anni già entrano e celebrano l’eucaristia la quarta domenica del mese, alle molte altre parrocchie che si stanno prenotando per poter vivere il Giubileo in questa periferia esistenziale dove la misericordia del Padre si fa evidenza quotidiana.
La giornata dell’apertura della Porta della Misericordia è iniziata di prima mattina, con l’arrivo dell’équipe di catechesi e dei due gruppi parrocchiali di Villa di Teolo e di Chiesanuova, seguiti poi dal coro di Comunione e Liberazione di Padova, animato eccezionalmente dal maestro Davide Zagoli di Verona. Poi, verso le nove sono iniziati a confluire nella cappella del Due Palazzi e nell’annesso Auditorium i detenuti, 150 in tutto, un gruppo anche proveniente dalla sezione di alta sicurezza. Verso le nove e mezzo è arrivato il vescovo Claudio che prima della celebrazione ha salutato cordialmente e affettuosamente i presenti, ricambiato da applausi, strette di mani e abbracci. Poco prima delle dieci era tutto pronto per il momento tanto atteso: l’apertura della Porta della Misericordia. Per l’occasione, e grazie al fotografo Giorgio Deganello, la porta della cappella del carcere è stata addobbata con una riproduzione della Porta Santa di San Pietro che rimarrà così per tutto il Giubileo.
La celebrazione è iniziata con la lettura del brano evangelico della pecorella smarrita e di uno stralcio della Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia nell’auditorium, da qui con una breve processione accompagnata da canti il vescovo Claudio è giunto, anticipato dal Libro dei Vangeli, dinanzi alla Cappella e ha aperto la porta, dando avvio al Giubileo in carcere.
Un momento di forte emozione che ha visto, accanto ai detenuti, la parrocchia del Carcere coordinata dal cappellano don Marco Pozza, il gruppo di catechisti e catechiste, i rappresentanti delle associazioni che operano all’interno della casa di reclusione (Piccoli Passi, Ristretti Orizzonti) e delle cooperative Officina Giotto e Altra città, il direttore del carcere Ottavio Casarano, il presidente del tribunale di sorveglianza di Venezia Gianmaria Pavarin, il magistrato di sorveglianza di Padova Linda Arata, il commissario della polizia penitenziaria Salvatore Parisi, due gruppi parrocchiali provenienti da Villa di Teolo e Chiesanuova. Tra i presenti anche fra Beppe Prioli, da 52 anni in ascolto e al servizio dei detenuti, alcuni presbiteri diocesani “amici” della casa di reclusione Due Palazzi e suor Lia Gianesello, anima delle Cucine economiche popolari, altra periferia esistenziale.
Un’emozione palpabile anche nelle parole introduttive di don Marco Pozza, cappellano del Carcere Due Palazzi, che si è soffermato sul senso del “bussare alla porta”, una sorta di suono che è anche «un’annunciare e annunciarsi, un accendersi della memoria e dell’intuizione», un suono che pone tante domande. L’auspicio del cappellano è che la Porta-della-Misericordia sia anche la porta del sorriso: «Chi troverà il coraggio di varcare quella porta, oltre l’indulgenza plenaria, otterrà anche un biglietto omaggio per assistere allo spettacolo più bello che la storia abbia mai trasmesso: quello di un uomo e di una donna che, caduti o sbattuti a terra, tentano in tutti i modi di rialzarsi».
Un attento silenzio ha accolto l’omelia del vescovo Claudio che è stata un’intesa preghiera a Dio: «Signore, sono venuto a pregarti in questo carcere, insieme a questi fratelli, onorato di essere da loro accolto. Sono qui per conto di tutta la nostra Chiesa padovana, delle sue comunità e delle sue famiglie. Sono qui interpretando anche il desiderio del nostro santo Padre Francesco che non esiterebbe un attimo a entrare in una di queste celle e a chiedere – da carcerato – quanto sembra ancora impossibile agli uomini. Ma soprattutto sono qui umilmente per te, Signore, che non hai mai disdegnato di confonderti con i pubblicani e le prostitute, con i peccatori e i condannati. Sono qui per riconoscere e dire che Tu sei qui, non hai paura di sporcarti né mani né reputazione e custodisci per ciascuno una parola di salvezza».
Una preghiera che il vescovo ha elevato facendosi detenuto tra i detenuti con tutte le implicazioni di sofferenza e di fatica che porta la reclusione. Ha invocato luce, «segni di consolazione, di parole di incoraggiamento, di gesti che ci diano speranza. Facceli vedere, Signore. Dà intelligenza, volontà e forza a quanti ci governano, a quanti possono modificare regolamenti e leggi perché ad ogni uomo sia sempre riconosciuta dignità di uomo, perché vengano tolte le pene di morte, anche nascoste, come quelle di una pena che termina nell’anno 9999».
Il vescovo ha ricordato la difficoltà ulteriore, per i carcerati, dei giorni di festa che parlano di affetti, di calore, di famiglia: i giorni del Natale del Signore, qui «sono giorni di tristezza, giorni di mancanza», che fanno crescere nostalgia, rabbia, chiusura dal cuore. Da qui l’invocazione per chi non conosce la realtà del carcere e vive schiavo delle banalità e di stili di vita utili «solo al consumismo e ai suoi meccanismi disumanizzanti», ma anche «per quanti, senza saperlo e per debolezza, ci procurano ulteriore male scagliandosi contro chi ha sbagliato, contro chi sa di aver sbagliato e accetta di vivere un percorso di liberazione dal suo delitto. Abbiamo di fronte agli occhi anche le persone alle quali, con le nostre azioni, abbiamo recato sofferenza e dolore. La nostra consolazione viene anche pensando che questo dolore possa essere in qualche modo risanato: forse tu, solo tu, puoi rimediare e portare consolazione dove noi abbiamo portato sofferenza».
Il gesto di aprire la Porta della Misericordia – ha ricordato il vescovo Claudio – ricorda che «tu, Signore, sei più grande del peccato, del delitto, dell’ingiustizia fatta e subita» e dice al mondo «che tu sai entrare ovunque: entri nelle carceri, entri nelle celle, entri nei cuori ingabbiati. E li rendi liberi di amare. Tu non pretendi la risposta, ma intanto ci ami. Sarà l’amore a cambiarci, la tenerezza, la prossimità. Giubileo è quanto tu fai per noi».
Infine il vescovo nella sua preghiera ha chiesto tre miracoli:
1) «converti il mio cuore ad accogliere la tua tenerezza; fa che io, e don Marco che resterà in questa comunità, sappiamo parlare di qualcosa che abbiamo visto e toccato. E, quasi per contagio, molti altri sappiano raccontare il lieto annuncio del tuo amore misericordioso con la loro vita. Cerca chi parli di te tra i volontari, tra gli agenti di polizia, tra i carcerati e costituiscili “tuoi angeli” in mezzo a tanto dolore, rabbia e male»;
2) che «tutti questi uomini percepiscano che tu vuoi loro bene, che li stai attendendo come il padre attende il figlio allontanato da casa. E li attendi per abbracciarli e accompagnarli anche nelle loro pene, per confermarli, se vogliono, nella dignità di essere tuoi figli, proprio qui. Restituisci, o Signore, fin da ora coraggio e libertà di amare, di sperare, di sognare anche in una cella. Anche qui c’è spazio per la santità»;
3) «aiuta tutti noi, preti, carcerati e liberi cittadini ad accorgerci dell’importanza fecondante e generante della tua infinita e illimitata misericordia. Aiutaci a restare fratelli e a correggerci cercando il bene e facendo il bene».
Al termine della celebrazione altri tre gesti “miracolosi” sono stati invocati da fra Beppe Prioli, pioniere del servizio tra i detenuti, che in 52 anni è entrato in oltre duecento carceri: l’abolizione dell’ergastolo, l’abolizione del carcere per i minori; modalità diverse per mamme e bambini.
Al termine della celebrazione alcuni detenuti dell’alta sicurezza hanno donato al vescovo Claudio un corporale e due croci in legno da loro realizzate.