Gli Idles allo Sherwood visti da Enrico Veronese

 

Andare allo Sherwood Festival per vedere gli Idles, e scoprire Ta Ga Da. Una domenica insolita, d’estate eppure incerta, porta in dote alle inevitabili rimpatriate la conoscenza di una nuova scommessa/sensazione tutta padovana: il power trio che annovera Jesse the Faccio, Alberto Tex e Francesco Gambarotto, a vario titolo gravitanti nella sfera dei Dischi Sotterranei, dal palco dichiara la propria appartenenza «a questa città» e ad un ambiente musicale che ha piena cittadinanza nel mondo d’oggi.
Ma come, non era finito il tempo delle chitarre e tutto sarebbe stato algoritmico, plastico, trappy? Non all’esterno dallo stadio Euganeo, dove molto cambia affinché niente cambi, odore di kebab anche quando non c’è: dalle nove di sera fin quasi la mezzanotte il rock analogico ha viaggiato libero sopra le teste di centinaia di astanti. Dapprima Ta Ga Da, appunto, memori della lezione postpunk dei Gang of Four e però il passo che li separa dallo shoegaze è breve, percorso con brani di facile presa e altri più complessi seguendo la prima uscita discografica “This is how we dance”. 

Ipercinetici eppure a loro modo pop, dritti ma sinuosi, aprono benissimo la scena e intrigano con un suono indie anni Zero: camaleontici divertono, sempre a cento all’ora. Non mancano singalong e stage diving verso la fine, come le band di peso: e al pari dei contesti maggiori, i tre antoniani sfoderano anche visual impeccabili a sfondo circense, compresa la silhouette rotante di un cesso chimico.
Di certo non sono passati inosservati, al di là della condivisione di un brano dal titolo “Mother” con gli headliner: Idles per la seconda volta a Padova nelle ultime tre estati, né più né meno che la rock band del momento. Iconica come potevano esserlo i Nirvana -ma dove c’era disperazione, oggi c’è potenza- e politica come poche nel sollevare gli argomenti cari alla platea del festival: migrazioni e accoglienza (“Danny Nedelko” invocata dal pubblico in visibilio), le ripetute affermazioni di sostegno alla Palestina, l’inciso «the best way to scary a Tory is to read and get rich» proprio da “Mother”. Qualcuno nel pubblico sfoggia una rara t-shirt firmata dal bassista Adam Devonshire, ritratto per la campagna Bassists agains racists: segno che l’identificazione tra fanbase e artisti è totale, e va oltre il fatto meramente musicale. 

L’inizio è oltremodo lento, anche per contrasto con l’energia sprigionata dai supporter: “Colossus” incede marziale, grave, ineluttabile prima del big bang. La setlist attinge a manetta da tutti e cinque i dischi all’attivo, specialmente “Joy as an act of resistance” del 2008 e il recente “Tangk”, contaminato da velleità dance e dal rapporto con LCD Soundsystem. In mezzo a qualche riff di grana grossa, come fosse “My Sharona” vitaminizzata, si stagliano le vette “I’m scum” e “Never fight a man with a perm”: l’aria sonora è satura, in platea non passa uno spillo, la collinetta si popola.
Dammi tre parole? Punk, antagonismo, estetica. Sì, perché gli Idles piacciono alla gente che piace, e se ne compiacciono essi stessi: basti osservare le mise eccentricamente femminili del chitarrista Mark Bowen o i sosia del cantante John Talbot in giro per il parco. Il loro demo sarebbe sicuramente piaciuto a Vice Magazine (che avrebbe trovato il modo per scaricarli presto), e se pure c’è chi parla sottovoce di “Maneskin dell’indiepunk” è da preferire la visione che li vuole la trasposizione musicale e incompromissoria del cinema di Ken Loach: madri che lavorano tutta la settimana per quindici ore, fratelli di sangue ucraini, nessun risparmio nemmeno di energie.

Prima che sia lunedì la messa è finita, gli officianti si ritirano, i fedeli sciamano in pace, Padova ancora una volta si è connessa in tempo reale con il mondo: lo Sherwood Festival proseguirà fino alla metà di luglio, arriveranno tra gli altri Gazzelle, Lo Stato Sociale -il cui leader Lodo Guenzi è stato già avvistato domenica nel pubblico- e l’altro monumento punk hardcore, i Bad Religion. Ciò che rimane fuori è solo un’estate italiana.