“Associazione per delinquere finalizzata ad una serie indeterminata di furti ai danni di bancomat mediante l’impiego di ordigni esplosivi micidiali”, questo il reato più grave contestato nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere che i Carabinieri del Comando Provinciale di Padova stanno eseguendo, dalle prime ore di questa mattina. Sgominata quindi la banda di padovani che imperversava in tutto il Veneto, responsabile di decine di assalti ai bancomat di diversi Istituti di Credito con un bottino di centinaia di migliaia di euro.
Se la “Mala del Brenta”, negli anni passati, era riuscita a devastare il territorio con le “rapine”, questo manipolo di delinquenti aveva invece studiato, nei minimi dettagli, una strategia criminale basata sul “furto”, che avrebbe permesso di arricchirsi ai danni degli Istituti di Credito correndo – secondo loro – minori rischi con la giustizia. Niente importava se, tra i “danni collaterali” derivanti dall’uso fuori controllo dell’esplosivo, di tanto in tanto qualche palazzo si fosse reso completamente inagibile e, solo per puro caso, non si fossero registrate vittime.
All’interno del sodalizio, ogni componente rivestiva un ruolo ben specifico: dal semplice compito di ricognizione sull’obiettivo da colpire, al “palo” o al “servizio” di staffetta per eludere i controlli su strada delle Forze dell’Ordine, al delicato incarico di “pilota” esperto nella guida veloce per seminare eventuali inseguitori e, soprattutto, quello di specialista nell’impiego di ordigni esplosivi sempre più potenti e sofisticati. Nel configurare il reato associativo, il GIP del Tribunale di Padova, Dott.ssa Mariella FINO, ha ritenuto determinante anche il fatto che i criminali si fossero creati una vera e propria “base logistica” segreta (ove riunirsi ma soprattutto custodire tutto il necessario per i loro attacchi), che utilizzassero sempre gli stessi strumenti e gli stessi mezzi, tanto da far emergere gli elementi sintomatici della “stabilità e permanenza del vincolo associativo”, funzionale alla commissione di una serie indeterminata di delitti.
I colpi non erano mai improvvisati: la parte tecnica e le modalità esecutive erano pianificate per non lasciare nulla al caso. Abbandonati i telefoni cellulari facilmente rintracciabili e intercettabili, la banda, per comunicare durante gli assalti, si serviva di scanner variando spesso la frequenza. Le auto venivano cambiate con ripetitività (l’indagine ha documentato l’impiego di tre modelli di auto rubate diverse), tuttavia ad un certo punto è emersa una certa predilezione del “pilota” per una AUDI A6 rubata molto performante che, invece di essere sostituita, da blu è stata verniciata in grigio e, successivamente, in nero apponendo di volta in volta targhe diverse, sottratte la notte stessa del delitto.
Per l’esplosione del bancomat, all’inizio la banda aveva sperimentato la tecnica dell’intasamento con una miscela di gas (acetilene) innescata dalla scintilla di due cavi collegati ad una batteria, ma il metodo si era presto rivelato dispendioso e le bombole del gas difficili da trasportare. Lo “specialista” era passato quindi all’impiego della polvere pirica con cui realizzava degli ordigni esplosivi – dotati di accenditore, innesco elettrico e carica di scoppio – chiamati in gergo “marmotte”, molto maneggevoli e facili da trasportare. Da ultimo, per potenziarne la deflagrazione, era stata aggiunta anche la polvere di alluminio.
Sulla base di quanto rinvenuto dai Carabinieri, il consulente tecnico nominato dalla Procura ha concluso che, la quantità di esplosivo e le modalità di confezionamento combinate con le proprietà incendiarie dell’alluminio, fanno di questi dispositivi degli ordigni esplosivi “micidiali”. La caratteristica della “micidialità”, secondo il dettato della Cassazione, aggrava notevolmente la posizione di tutti i sodali trattandosi di materiale riconducibile all’intera associazione per delinquere di cui gli stessi facevano parte.
Il certosino lavoro compiuto dai Carabinieri della Compagnia di Piove di Sacco, l’impianto accusatorio redatto dal Pubblico Ministero Dott. Marco PERARO condiviso dal Tribunale di Padova, Dott.ssa Mariella FINO, ha consentito di assicurare questa mattina alle patrie galere quattro padovani cui non si contesta il “banale” reato di “furto in concorso” ma il reato associativo finalizzato ad una serie indeterminata di delitti di furto ai danni di bancomat mediante l’impiego di ordigni esplosivi micidiali. Inoltre, per ogni singolo episodio documentato dai Carabinieri, sono contestate circostanze aggravanti specifiche: dall’aver commesso il fatto usando violenza sulle cose, all’aver agito in più di tre persone travisate, aver condotto l’assalto nottetempo in condizioni tali da ostacolare la pubblica e privata difesa ed infine aver causato alla parte lesa un danno patrimoniale di rilevante entità.