Quattro, forse cinque nuovi centri commerciali a Padova. Fosse anche uno in più non cambierebbe molto. Proprio quello che non ci voleva. Sarà come un’eutanasia per centinaia di negozi della città che già fanno fatica a reggere i colpi della crisi. A dare il colpo di grazia al piccolo commercio saranno le conseguenze della delibera con cui il sindaco Massimo Bitonci ha riaperto i termini per le manifestazioni d’interesse a diventare grandi superfici di vendita anche realtà esistenti. (Clicca qui per aprire il link)
Il primo atto politico concreto rischia di diventare un favore colossale ai grandi gruppi imprenditoriali della distribuzione organizzata.
Chissà cosa ne pensano quei commercianti come Massimiliano Pellizzari che hanno tirato la volata al sindaco che doveva ripulire la città e che rischia di svuotarla dei negozi che faticosamente hanno retto i colpi della crisi negli ultimi anni. (clicca qui per leggere l’articolo del Mattino di Padova di domenica)
Anche solo ipotizzare l’apertura di nuovi centri commerciali è sbagliato, un crimine nei confronti della città che ha saputo, 800 anni fa, dotarsi di quello che forse è il primo centro commerciale della storia: il Salone. Sotto il salone i padovani di allora non hanno pensato di fare un mercato generale amministrato da un unico grande commerciante, ma di dividere in piccoli spazi il commercio: ancora oggi un centinaio di famiglie vivono di quelle attività commerciali.
Per capire che il provvedimento della Giunta Bitonci è antistorico ed impoverirà Padova basterebbe leggere questo libro che spiega come i grandi centri commerciali tipo “Nave de vero” alla fine impoveriscono il territorio dove sono impiantati (clicca per leggere le prime pagine del libro) o chiedersi: mi conviene andarlo a cercare in libreria o me lo compero con due click su un sito di vendita libri? Se optate per la seconda scelta, non farete fatica a capire perchpè negli Usa, patria dei grandi centri commerciali, si sta assistendo ad una progressiva chiusura degli ipermercati. (clicca qui per leggere un interessante articolo di Panorama a riguardo) Perchè la fine del consumismo ha abbattuto un muro, quello tra il cliente e il produttore. E se c’è un effetto positivo di questa crisi è quello di aver liberato il consumatore dall’obbligo del tutto nuovo, facendo riscoprire la capacità del riutilizzo. L’ho visto con i miei occhi in questi giorni, imparando una volta di più da mia moglie. Sta arrivando la seconda bimba. Tra le tutine ed i body “ereditati” dalla nostra prima figlia, i regali preventivi già fatti da zie e nonne, mancavano all’appello tre o quattro capi di vestiario. Mia moglie l’altra mattina attraverso Alibaba.com (il più grande debutto in borsa della storia) ha acquistato ciò che serviva. Dialogando con una commerciante titolare di una piccola manifattura in China attraverso google translator. Si sono capite, a migliaia di chilometri di distanza e in una settimana coprifasce e tutine arriveranno direttamente a casa nostra. Prezzo d’acquisto? Metà di quanto gli stessi articoi made in China costano nei grandi centri commerciali. E’ per questo che i grandi centri commerciali stanno chiudendo negli Usa: i consumatori delle fasce medio basse quanto a capacità d’acquisto prediligono internet. Quelle di fascia alta vanno alla ricerca della qualità nei negozi che sopravvivono proprio perchè hanno saputo ricavarsi una nicchia, dove il valore aggiunto giustifica un prezzo più alto. Per chi può permetterselo. Io che non posso permettermi che ne so, i vestitini de La Parigina, per mia figlia, non ci vado nemmeno al centro commerciale: salto un passaggio e vado direttamente a prendermi i vestiti dal produttore. Sta succedendo lo stesso anche per gli alimenti freschi: frutta e verdura, oltre a carne formaggi e uova? Dal farmer’s market. Insomma la gente di fronte alla crisi si sta facendo furba. Chi ci perde è la Gdo, che risponde nella sola maniera che conosce: aumentando superficie di vendita ed orari d’apertura. Ma questa logica espansionistica sarà, nel breve periodo, la sua fine. Clicca qui per vedere una gallery dei centri commerciali fantasma negli Stati Uniti
E noi cosa facciamo a Padova, città della scienza? Non facilitiamo un nuovo modello di sviluppo. No, immaginiamo di aprire nuovi centri commerciali, con il rischio che si finisca con l’avere cattedrali vuote e tristi, come il foro boario di corso Australia costruito un giorno dopo la fine dell’allevamento di carni a Padova o il seminario di Tencarola, immaginato per accogliere migliaia di preti e pronto immediatamente dopo l’inizio della crisi di vocazioni.
Alberto Gottardo