Interessante leggere, per quelli che non hanno ancora 40 anni a Padova, la storia del 7 aprile 1979, una data feticcio per politici e giornalisti con i capelli bianchi e molto più da raccontare al passato di quanto possano immaginare al futuro. Ospito volentieri le prime righe di questo interessante e provocante post, che più che una recensione di un libro, è una riflessione sulla città, certo quella dell’altro ieri, ma anche quella di oggi.
E’ curioso, ma forse nemmeno troppo, che sia il libro scritto da un magistrato, Giovanni Palombarini, a mettere ordine nella storia del 7 aprile. Dopo tanta storiografia improvvisata – compreso il tentativo del sottoscritto, che dedicò al tema la propria tesi di laurea, la prima discussa all’Università di Padova su questo tabù irrisolto della storia cittadina – almeno qualche punto fermo, utile a rileggere i tanti libri usciti dopo il trentennale di quel 7 aprile 1979. Una data che si è cristallizzata, che ha segnato la storia di Padova e pareva, in un primo momento, dovesse segnare anche quella d’Italia. A Padova, nella Facoltà di Scienze Politiche, raccontavano, si nascondeva il cervello del terrorismo italiano. Non era così, anche se tanti lo credono ancora. Forse è solo uno dei tanti fenomeni di strabismo che affliggono una città che troppo spesso si è vista e si vede capitale, quando in realtà, a guardar bene sotto il tappeto, rimane solo piuttosto un’irriducibile incompiuta incapace di fare i conti con il proprio passato.
“Il processo 7 aprile nei ricordi del giudice istruttore”, di Giovanni Palombarini (edizioni Il Poligrafo), è un libro “sbilenco”. Mi spiego: sin dal titolo, Palombarini sceglia la difficile via di un libro in terza persona. E’ in un certo senso lo storico Palombarini che riguarda, oggettivandoli più che può, i fatti tumultuosi di quegli anni. Una scelta stilistica importante, non priva di conseguenze, che segna una svolta per chi voglia veramente iniziare a studiare gli anni Settanta: il passaggio dalla memorialistica dell’io alla ricostruzione dei fatti. Sui ricordi si può stare a discutere, dai fatti – prima o poi – bisogna iniziare a trarre conclusioni. Clicca qui per continuare a leggere l’articolo