“Credo che l’assassinio di mio fratello nasconda qualcosa di diverso di una rapina. Vogliamo giustizia”. A dirlo oggi Massimiliano Turi, fratello del 32enne Valerio Turi trovato ucciso a coltellate tre giorni fa a Santo Domingo de los Tsachilas (Ecuador). “Mio fratello viveva e lavorava in Ecuador da dieci anni – ricorda Massimiliano Turi – e non era uno sprovveduto. Dubito che sia stato attaccato da un gruppo di balordi che lo hanno ucciso per rubargli i soldi e la macchina. Credo che quello della rapina sia un movente fragile, una specie di specchietto per le allodole. Forse mio fratello con il suo lavoro ha pestato involontariamente i piedi a qualcuno che ha deciso di toglierlo di mezzo”. Valerio Turi undici mesi fa si era sposato con una donna ecuadoriana e si trovava da un mese circa nella città di Santo Domingo de los Tsachilas per aprire lì una filiale della sua “Academia italiana” una organizzazione di cultura e lingua italiana, che Turi gestiva da quando si era trasferito in Ecuador da Monselice, cittadina del padovano dove ha vissuto fino all’età di 22 anni con il fratello e gli anziani genitori.
“Le cose gli andavano bene – spiega il fratello Massimiliano – aveva molto lavoro sia con aziende di grande livello che con l’amministrazione consolare. Credo che il successo di mio fratello abbia attirato le invidie di qualcuno. Ho fiducia nella polizia ecuadoriana e negli uomini della Farnesina che conoscevano bene mio fratello e credo, faranno di tutto perchè gli assassini di Valerio vengano assicurati alla giustizia”.
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