Maestro Diego Basso grazie dei Queen e di quella doccia all’anima

 

Ci sono poche certezze nella vita di chi scrive questo piccolo articolo. Una di queste certezze è che Freddie Mercury fosse un alieno e che Brian May sia uno che ha scritto la musica ficcandoci dentro le leggi della gravitazione universale e suonando la chitarra come fosse un violino. Non era facile per chi scrive accostarsi allo spettacolo “Diego Basso plays Queen” e ve lo spiego con un aneddoto: anni fa ebbi l’occasione di intervistare Brian May e non lo feci perchè io con Brian May sono ancora incazzato, e lo sono anche con Roger Taylor, perchè non hanno fatto la scena di John Deacon. Secondo me i Queen sono finiti quella sera a Montreux, e chi scrive un giorno o l’altro troverà il coraggio di andarci per portare un fiore nel luogo dove morì il Maradona del rock.
Chi scrive a quel concerto non ci sarebbe mai andato se non fosse successo che siccome siamo fatti tutti della stessa materia che si origina dall’esplosione delle supernove, un pezzo del mio dna mercuriano deve essere finito anche in mia figlia Giulia che un giorno mi fa “papà ma tu hai mai ascoltato i Queen”? Io quel giorno ho dissimulato un “sì, qualche volta”, provando anche un po’ di pena per questa povera creatura che ha ereditato da me anche questa dipendenza. Nei giorni successivi la ormai ex piccola Giulia ha imparato a memoria Killer Queen, Bohemian Rapsody, Don’t stop me now (la sua preferita in questa fase) e un’altra mezza dozzina di altri brani. Ho il sospetto che due o tre stia anche cercando di replicarli tra le corde del violino.
Ho lasciato fare. Poi un giorno alla rotatoria Giulia esclama “fermo papà, fermo”. E indica il cartellone con scritto “Diego Basso plays Queen”.
“Vaffanculo Diego Basso” ho pensato. “Mi ci porti, papà?”.
“No”.
Evidentemente non è andata così.
E per fortuna. Perchè ho potuto cambiare idea. E me l’ha fatta cambiare il maestro e la sua orchestra quando all’inizio del concerto fa un medley che è la spiegazione di tutto il percorso delle due ore di concerto. Non è la copia posticcia di quello che fu. E’ una ricerca su quello che è stato e che non sarà mai più purtroppo. Diego Basso ti fa capire che c’è un’architettura pazzesca dietro la voce di Freddie Mercury, e lo senti negli archi e dei fiati che c’è il respiro dell’universo. Ascoltare quella musica senza la chitarra di May, senza la voce di quello che si chiamava Farrokh Bulsara prima dell’illuminazione, è come guardare il cielo senza sole e senza luna. Vedi le stelle e le galassie che stanno sopra la tua testa e ti senti piccolo.
Poi è iniziato il concerto e i giovani interpreti hanno saputo essere rispettosi di ciò a cui si sono accostati, come un bravo pittore a cui viene chiesto di fare un disegno della creazione di Adamo della Cappella Sistina. All’inizio abbiamo ascoltato con trasporto ed emozione. Il contegno ha iniziato a sgretolarsi già con Radio Gaga, quando se non batti le mani a braccia tese facendo i pugni tra un applauso e l’altro, godi solo a metà, anche se non sei a Wembley e quello non è il Live Aid (chi scrive ha i brividi e una lacrima sul ciglio a scrivere quest’ultima frase).
Poi a “Don’t stop me now” pensi “va in mona” ti alzi e insieme a te tutti i tremila quanti saranno stati del PalaGeox. Perchè ti senti come una meteora, canti come Lady Godiva perchè stai avendo il tuo good time e nessuno deve fermarti anche se hai ormai 50 anni e certe cose dovresti averle messe via.
Ecco, io ho scritto queste righe per dirle Maestro Basso, che lei ieri sera mi ha regalato due ore di felicità, che il suo spettacolo per me è stata come una doccia all’anima. E secondo me il posto vuoto che avevo di fianco non lo era, non c’ho manco appoggiato il giubbino. Mi è parso per un attimo di vederci un tizio con un bizzarro giubbino bianco, che sorridendo sotto i baffi assisteva compiaciuto alla sua immortalità.
La foto è di Diego Marafante. Chi scrive ha i baffi. Ora sapete anche perchè.

Alberto Gottardo