“Non essere triste al mio funerale”. Quella volta al cimitero con Humberto Rosa, l’ultimo Panzer di Rocco

 
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Humberto Rosa davanti alla tomba di Aurelio “Lello” Scagnellato

“Io non sono stato un campione, sono stato uno che ha avuto la fortuna di giocare a calcio con dei campioni”. Me lo ha detto Humberto Rosa una sera, quando avevo spiegato a mia moglie che quel signore seduto sulla panchina di piazza Cavour era uno degli ultimi campioni del più forte Padova di tutti i tempi. Non ci conoscevamo, ma da quella sera in poi Humberto mi ha sempre salutato calorosamente, perchè, diceva, gli ricordavo il suo direttore di banca. Perchè Humberto era uno con cui facevi amicizia immediatamente. Con quell’accento argentino dopo una vita in Italia e quegli occhi alla Paul Newman che guardavano lontano quando ti raccontava del Padova che fu, della Juventus e del Napoli.
Di Humberto il ricordo più caro che ho è quando al punto superflash, sempre in piazza Cavour, arrivò in bicicletta Davide Succi. I due si salutarono e poi Davide Succi andò a firmare qualche autografo. Humberto si sedette su un divanetto e, memore di quelle parole al nostro primo incontro di qualche tempo prima, gli feci uno scherzo. Ad uno dei ragazzini che avevano appena chiesto l’autografo a Succi chiesi ad alta voce: “E un autografo a Humberto Rosa, che ha giocato con i “panzer” di Nereo Rocco, non glielo chiedi l’autografo?”. Il ragazzino mi guardò un po’ sbalordito. Humberto ancora di più. Alla fine altri si misero in fila e anche Humberto ebbe un piccolo tributo quella sera. Andandosene mi prese sotto il braccio e mi disse: “Va in mòna Gotardo (con una t sola all’argentina) mi hai fatto proprio un bel escherzo”, e forse si asciugò anche una lacrima.
davide succiE l’ultima volta che lo vidi fu tre anni fa. Era in occasione della prima amichevole del neo risorto Biancoscudati Padova all’Arcella. La dirigenza ebbe l’idea di omaggiare la memoria di Aurelio “Lello” Scagnellato mandando Marco Cunico, capitano del Padova di serie D, a deporre un mazzo di fiori davanti alla tomba del campionato di quel fortissimo Padova. E quel pomeriggio di ottobre c’era anche Humberto Rosa. Che entrò in cimitero felice, ridendo e scherzando. “Vedi Gotardo – mi disse prendendomi sempre sotto braccio – io qua vengo a trovare il mio amico “Lello” per quello sono felice. E quando verrai al mio funerale devi fare lo stesso. Non voglio vedere gente triste eh, mi raccomando, diglielo tu ai tuoi amici giornalisti. Ricordagli che ho avuto una vita meravigliosa. Con qualche dolore, ma meravigliosa. Diglielo tu ai giornalisti quando morirò”. E rideva guardando il sole. “Ciao Gotardo, ci vediamo presto”. E invece non ci siamo più visti. Dopo un po’ si è ammalato ed oggi è morto.

Ciao Humberto dagli occhi azzurri e dal cuore sincero. Eri un campione e ti dava un po’ fastidio quando te lo ricordavo. Vengo a salutarti lunedì alle 9 alla Chiesa di Santa Madre di Dio alla Mandria. Cercherò di non essere triste. Di ridere e scherzare anche in faccia alla morte come facevi tu. E se mi scappa una lacrima me la asciugherò di nascosto.

Alberto Gottardo

 

Dal sito del calcio Padova:
Humberto Jorge Rosa è nato a Buenos Aires l’8 Aprile 1932. Approdato negli anni ’50 in Italia dopo una carriera in patria con la maglia del Rosario Central, fa il suo esordio con la Sampdoria. Nel 1956 si trasferisce al Padova dove diviene grazie a Nereo Rocco uno degli storici “Panzer”. Dal 1956 al 1961 mette a segno 19 reti in 150 incontri. Alla soglia dei 30 anni passa alla Juventus come successore di Giampiero Boniperti. Dopo una sola stagione passa al Napoli dove chiuderà anche la carriera con 31 reti in Serie A in 240 presenze.
Da allenatore ha esordito sulla panchina del Padova dal 1966 al 1969. Alla sua prima stagione da mister conquista la finale di Coppa Italia con i biancoscudati, all’epoca militanti in Serie B, poi persa in finale contro il Milan (amarcord a questo link). Successivamente ha allenato Siracusa, Latina, Udinese, Pro Patria, Venezia, Sandonà e Rovigo dove smise di allenare nel 1983.