“Non ci sono problemi”. E’ il ritornello dei sostenitori del nuovo ospedale dov’è ora quello vecchio. Eppure qualche problema potrebbe esserci, a leggere quello che scrive al Corriere del Veneto il direttore regionale per i beni culturali Ugo Soragni. Qui di seguito riportiamo integralmente la lettera mandata da Soragni al Corriere del Veneto in cui chiarisce un passaggio dell’intervista del sindaco Bitonci sull’ospedale di Padova
Il sovrintendente: con il sindaco soltanto un colloquio informale
Ho letto sul Corriere del Veneto di ieri l’intervista rilasciata dal sindaco di Padova sul nuovo ospedale della città, nella quale egli fa riferimento, tra gli altri, a un recente incontro con il sottoscritto. In merito ad un passaggio di tale intervista ritengo utile precisare quanto segue.
L’incontro di cui sopra, era stato concordato per favorire la reciproca consultazione su alcune questioni riguardanti la Cappella degli Scrovegni e la sistemazione degli scavi archeologici eseguiti nelle adiacenze di quest’ultima, ovverosia su argomenti del tutto estranei all’oggetto dell’intervista. In proposito sottolineo che, a tutt’oggi, la Direzione regionale dei beni culturali del Veneto non è stata destinataria di alcuna richiesta o istanza, ascrivibile alle proprie competenze, che possa correlarsi alla vicenda del nuovo ospedale padovano, intesa sia come ristrutturazione e ammodernamento di quello esistente sia come realizzazione di un complesso ubicato altrove rispetto a quello attuale.
A conclusione del colloquio di cui sopra, improntato collaborazione reciproca, il sindaco ha ritenuto di farmi cenno del problema del rinvenimento di testimonianze archeologiche che si sarebbe potuto presentare se si fosse optato per la ristrutturazione del complesso ospedaliero esistente.
A tale riguardo, non avendo cognizione di quanto previsto da eventuali progetti di ammodernamento dell’attuale complesso ospedaliero, mi sono limitato ad affermare che, al di sotto delle quote raggiunte dagli scavi a suo tempo eseguiti per la costruzione dei fabbricati attuali, non avrebbero dovuto ragionevolmente verificarsi rinvenimenti archeologici ulteriori. Mentre, per la costruzione degli eventuali nuovi edifici previsti dal piano in aree non ancora urbanizzate o per le opere necessarie alla demolizione delle strutture esistenti, si sarebbero dovute applicare le norme del vigente codice degli appalti sulla cosiddetta «archeologia preventiva». Le quali stabiliscono che la realizzazione di un’opera pubblica in un’area potenzialmente sensibile dal punto di vista archeologico deve essere preceduta dall’effettuazione di adeguati saggi e prospezioni. Tali accertamenti sono preordinati all’acquisizione, in misura ragionevolmente attendibile, degli elementi necessari a determinare preliminarmente il grado di possibile interferenza dell’opera con la tutela del patrimonio archeologico che dovesse insistere sull’area prescelta.
La conversazione sul tema si è conclusa, infine, con la mia richiesta di conoscere quale sarebbe stata la destinazione prevista per l’area attualmente occupata dall’attuale ospedale cittadino nel caso lo stesso fosse stato trasferito altrove.