“Eroe borghese” lo ha definito Corrado Stajano nel suo libro. “Un cittadino italiano al servizio dello Stato che fa con normalità e semplicità il suo compito e il suo dovere” disse di lui Carlo Azeglio Ciampi. “Non era un eroe, ma una persona normale, un gran lavoratore che amava moltissimo la sua famiglia” così lo vedeva Annalori, la moglie. “Un esempio che ci dice che possiamo non avere paura, o perlomeno che possiamo averla e dominarla per continuare a essere noi stessi per essere liberi di fare quello che riteniamo giusto” è il ricordo del figlio Umberto . Oppure “una persona – come sibilò Giulio Andreotti in un’intervista – che in termine romanesco direi se l’andava cercando”?
La sera dell’11 luglio 1979, l’avvocato Giorgio Ambrosoli aveva appena parcheggiato l’auto sotto casa in via Morozzo della Rocca 1. Mezzanotte, una voce alle spalle che lo chiama. Quattro colpi di pistola P38, muore pochi minuti dopo essere arrivato al pronto soccorso del Policlinico.
Ambrosoli da sei anni era il liquidatore della Banca Privata Italiana e delle attività finanziarie del banchiere siciliano Michele Sindona. Nominato dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli, era riuscito a recuperare 249 miliardi rimborsando i creditori privilegiati e parzialmente gli altri. Non guardando in faccia a nessuno, spesso solo, in compagnia della sua etica. Lasciava tre figli, una moglie e il suo esempio scritto in una lettera indirizzata ad Annalori: “E’ indubbio – scriveva Ambrosoli – che in ogni caso pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese […] A quarant’anni di colpo ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito […] Qualunque cosa succeda, comunque tu sai che cosa devi fare e sono certo che saprai fare benissimo. Dovrai allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto […] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia, nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia, o si chiami Europa”.
A quasi quarant’anni dal vile assassinio di Giorgio Ambrosoli, avvenuto a Milano l’11 luglio 1979 ad opera di un sicario, il figlio Umberto ricorda la straordinaria figura del padre in un incontro che si terrà oggi pomeriggio, mercoledì 27 marzo alle ore 16.30 in Aula Mocenigo della Scuola di Giurisprudenza di Palazzo Bo via VIII febbraio 2 a Padova.
In un celebre saggio a lui dedicato, Corrado Stajano ha definito l’avvocato Giorgio Ambrosoli “un eroe borghese”, mettendone in risalto il coraggio e la determinazione nel compiere la sua professione con indipendenza, lealtà, probità, dignità, fedeltà alla propria coscienza: nel rispetto non solo delle regole deontologiche ma anche dei principi etici che dovrebbero guidare l’operato di ciascun avvocato.
Un emblema di rettitudine e di alto senso dello Stato sul quale gli studenti sono chiamati a riflettere. Per non dimenticare.
L’incontro è organizzato dal Dipartimento di Diritto pubblico, internazionale e comunitario.