Il 21,8% dei lavoratori a termine assunti dalle aziende (e il 29% di quelli in somministrazione), non verrà con certezza confermato o prorogato e sarà invece sostituito dal turnover. Ma il cono d’ombra è assai più largo e si proietta sul 63,7% dei contratti a termine in essere (e il 70,6% di quelli in somministrazione): rapporti di lavoro che “avrebbero potuto essere prorogati o rinnovati” con le vecchie regole, ma ora sono appesi a un filo (esile) “per effetto delle limitazioni imposte dal Decreto Dignità”. Ovvero, riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima dei contratti a termine, obbligo delle causali in caso di rinnovo o superamento dei 12 mesi, costi addizionali, incertezza normativa. Insomma, il Decreto «va nella direzione opposta rispetto alle intenzioni del Governo e danneggia anche, e soprattutto i lavoratori non solo le imprese. Specialmente i giovani, che aspirano a un lavoro stabile e invece rischiano di perderne l’opportunità».
Non è una ‘percezione’ né una ‘relazione tecnica’, ma i numeri eloquenti emersi dall’indagine condotta da Assindustria Venetocentro dal 25 al 30 luglio su un campione di 307 imprenditori e direttori risorse umane delle province di Padova e Treviso. Un focus tra gli operatori dell’industria e chi ha la responsabilità diretta di contratti e organizzazione del lavoro in azienda, per tradurre la preoccupazione e il malessere diffuso in previsioni attendibili, e pesare «con realismo e prudenza» gli effetti del Decreto cosiddetto dignità sui lavoratori e sulle imprese.
Le 307 aziende del campione occupano attualmente 31.349 addetti, dei quali 2.344 a termine (7,5%) e 2.129 in somministrazione (6,8%). Una quota in linea con quella dell’Italia e molto inferiore rispetto agli altri Paesi europei. Ma soprattutto aziende che hanno fatto in molti casi del contratto a termine un passaggio virtuoso verso la stabilizzazione dei lavoratori (attraverso inserimento e investimento in formazione), qualora si consolidino le esigenze. Tanto che l’incidenza delle trasformazioni a tempo indeterminato dei contratti a tempo determinato si assesta al 36,7%, molto più alta rispetto all’Italia e all’Europa. Uno scivolo virtuoso che però rischia di incepparsi per effetto di vincoli, rigidità e costi introdotti dal Decreto. La conferma?Le aziende dichiarano che per il 21,8% dei contratti a termine ricorreranno al turnover , per evitare il rischio contenziosi, e inserirà nuovi addetti a termine in sostituzione di quelli che non potranno essere prorogati o rinnovati senza incorrere nelle causali. Ma il rischio riguarda una platea molto più ampia, pari a oltre 6 contratti a termine su 10 (63,7%), che avrebbero potuto essere prorogati o rinnovati ma difficilmente lo saranno per effetto del Decreto.
«I risultati dell’indagine confermano la preoccupazione che ci è stata rappresentata da centinaia di aziende nelle ultime settimane – dichiara Massimo Finco, Presidente di Assindustria Venetocentro -. Questo provvedimento danneggia anche il lavoro, danneggia le persone che si dichiara di voler tutelare, specialmente i giovani, non solo le imprese. E avrà l’effetto di ridurre le opportunità di occupazione e la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, oltre a pregiudicare l’efficienza e la competitività delle imprese, peraltro in una fase di rallentamento».
«Le misure introdotte non paiono adeguate a cogliere l’obiettivo di ridurre la precarietà. – aggiunge Maria Cristina Piovesana, Presidente Vicario di Assindustria Venetocentro -. Anzi, da un lato con la riduzione della flessibilità e della certezza del diritto per le imprese, dall’altro con l’inasprimento delle sanzioni in caso di licenziamento, vi è il rischio oggettivo di giungere a risultati opposti rispetto agli obiettivi dichiarati».
Dai vertici di Assindustria Venetocentro arriva quindi l’ennesimo appello a Governo e Parlamento, a «cambiare drasticamente visione e criticità del Decreto, perché c’è ancora tempo – dichiarano Finco e Piovesana -. A confrontarsi e ad ascoltare le imprese che creano lavoro, un lavoro degno e importante già adesso, che dà ricchezza, opportunità e prospettive a una comunità che orgogliosamente rappresentiamo, e chiedono solo di poter continuare a farlo».