I protagonisti di questa storia sono quattro: due ragazzini di 11 e 17 anni nati in Bangladesh e cresciuti a Padova, un 55enne padovano doc che ha picchiato il più piccolo con il crick della macchina. La quarta protagonista è una cattiveria strisciante che si respira da tempo in città verso chi è debole o “diverso”. E che questa volta è esplosa sul cavalcavia di Chiesanuova. Ieri pomeriggio due fratelli di 17 e 11 anni stavano percorrendo via Chiesanuova verso la moschea dell’Arcella. Se la ridevano. Un residente della via ha interpretato quelle risa come se fossero rivolte a lui. Ha insultato i due ragazzini che lì per lì non hanno nemmeno fatto troppo caso alle urla di quel signore dai capelli bianchi. “Non so perchè ce l’avesse con noi” spiega il più grande dei due. Noi abbiamo continuato in bici sulla pista ciclabile. non si sono accorti i due ragazzini di essere seguiti dall’uomo che ha bloccato loro la strada all’altezza dello svincolo verso l’immissione in tangenziale sud mettendo l’auto di traverso sulla pista ciclabile. Ha afferrato il crick picchiano prima il 17enne e poi anche il bambino (nella foto la fasciatura del piccolo in primo piano). Il fratello scosso dalla scena è riuscito ad allontanare il bambino dalle mani dell’orco. “Negro di merda – gli ha detto il padovano fuori di sè – se non mi molli il crick ti ferisco con il coltello”. Il ragazzo ha lasciato la presa e con il fratello è fuggito lontano. Ma i due hanno avuto la freddezza di memorizzare la targa dell’auto di quell’uomo accecato da una cattiveria abnorme. Del fatto si stanno occupando i carabinieri di Padova che hanno raccolto la denuncia dei due ragazzini. “Non ci era mai successa una cosa del genere” sussurrava il piccolo ferito al braccio, “ma io non ho paura” spiegava fiero.
“Non so cosa dire” spiegava ai cronisti il papà dei due ragazzi, da 17 anni in Italia, idraulico.
Nemmeno chi scrive sa cosa dire. Al papà ho chiesto scusa e mi sono vergognato che a Padova un bambino di 11 anni possa essere picchiato e chiamato “negro di merda”.
Alberto Gottardo