Quella del ristorante Shanghai di via Marsala è una bella storia padovana. La storia di una famiglia cinese con i figli italiani, di una integrazione riuscita, anzi riuscita anche più di quello che Paolo Iang e la moglie Arcobaleno potevano immaginare quando 27 anni fa hanno aperto quel ristorante. E’ la storia del primo ristorante cinese a Padova dove vanno soprattutto i padovani, dove al banco c’è Arcobaleno, donna gentilissima nell’accogliere i clienti, e Paolo, uomo pacato dal fare sornione. Dietro al banco se non di rado ci sono anche i figli di Paolo e Arcobaleno. Non ci sono perchè studiano: il più grande, Matteo (nella foto il giorno della laurea) è diventato dottore in ingegneria. L’altro figlio, Giacomo, si laureerà a breve. Un giorno ho rimproverato a Paolo di essersi candidato (ed essere stato il più votato) alla rappresentanza della consulta delle comunità straniere. “Cosa ti sei candidato a fare Paolo – gli ho detto – sei più padovano di me”. Lui ha sorriso come al solito e mi ha risposto serio: “Io non sono italiano, non ho la cittadinanza – mi ha spiegato una volta Paolo – i miei figli sì. Ormai sono padovani e resteranno qui. Il ristorante l’ho tirato su per loro, ma mi sa che ho fatto male i calcoli”. E ride Paolo. Perchè i suoi figli li vedeva in cucina e rischia invece di vederseli andare lontano, con qualche ruolo in una multinazionale, magari all’estero. concetto, quello dell’estero, che deve essere parecchio diverso tra quello di chi, come me, è nato e cresciuto a paova da genitori padovani e un padovano figlio di cinesi. Forse l’integrazione è questo: non sentirsi più stranieri in nessun luogo. Quando sento dire “prima i padovani” penso a Matteo ed ai tanti padovani nati da coppie miste, da genitori nati altrove. E mi viene da ridere. Buon lavoro a Paolo e Arcobaleno, avete fatto una cosa grande con la vostra famiglia e con il vostro ristorante, che riapre stasera dopo la ristrutturazione, sono curioso di vedere com’è venuto: sono sicuro che riuscirete come al solito a farmi sentire a casa, anche se non ho mai imparato ad usare le bacchette
Alberto Gottardo