La sconvolgente serie di suicidi di imprenditori e persone travolte dalla crisi di cui hanno riferito le cronache giornalistiche di questi ultimi mesi, impone ai giornalisti una riflessione basata su un dato di fatto: più si danno notizie di casi di suicidio con enfasi e titoli in evidenza, più aumenta il rischio che altre persone decidano di togliersi la vita. Lo verifichiamo drammaticamente ogni volta che accade. E a confermarlo sono le statistiche: oltre 50 studi internazionali dimostrano che l’eccessiva attenzione dedicata dai mezzi d’informazione ai casi di suicidio induce pericolosi effetti di emulazione.
È un dato impressionante, che obbliga tutti i giornalisti, in primis i direttori responsabili, ad interrogarsi e a riflettere con attenzione ogni qualvolta si decide di dare notizia di un suicidio, valutando quali possono essere gli effetti di questa notizia e dunque adottando le necessarie cautele.
L’Ordine dei giornalisti del Veneto ha affrontato il tema nel maggio del 2011, nel corso di un convegno al quale è intervenuto tra gli altri il professor Michele Tansella, ordinario di psichiatria dell’Università di Verona, membro dell’WHO Collaborating centre for research and training in mental health and service evaluation: «I fattori che influenzano il suicidio e la prevenzione del suicidio sono complessi e non del tutto conosciuti – ha precisato il professore – Ci sono però evidenze scientifiche che dicono che i media hanno un ruolo significativo. Già nel 2008 l’Organizzazione mondiale della sanità affermava che i risultati di più di 50 studi permettono di concludere che la pubblicazione di storie di suicidio può indurre comportamenti di imitazione».
L’evidenza scientifica di cui ha parlato Tansella è tanto cruda quanto motivata. Uno studio del Centro di salute mentale di Mannheim pubblicato su Psychological medicine nel 1988 riportava gli effetti della messa in onda tra 1981 e 1982 sulla tedesca Zdf di una serie tivù intitolata “La morte di uno studente”. La storia era quella di un ragazzo di 19 anni che si buttava sotto il treno. Analizzando i dati sui suicidi avvenuti in Germania tra il 1976 e il 1984 risultava un aumento significativo, fino al 175 per cento, di comportamenti suicidari tra giovani di 15-19 anni nel periodo successivo alla messa in onda del programma. È quello che gli specialisti chiamano “effetto Werther”, ispirandosi all’eroe romantico del celeberrimo romanzo di Goethe.
I giornalisti però possono avere anche un ruolo positivo svolgendo il loro lavoro. Psicologi e psicanalisti lo definiscono “effetto Papageno”, dal nome del personaggio del Flauto magico di Mozart (1791) che grazie all’intervento di tre fanciulli desiste dal togliersi la vita. Uno studio dell’università di Vienna pubblicato su Social science and medicine nel 1994 ha messo in luce che dopo lo sviluppo di linee guida per i giornalisti nel 1987 i suicidi nella metropolitana di Vienna diminuirono del 75 per cento. Tali linee prevedevano di non dar risalto a eventi suicidari, diversamente da quanto successo nel triennio precedente, che aveva registrato un drammatico aumento di questi fenomeni.
Il professor Tansella ha fatto riferimento anche al documento emanato da Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e Iasp (International association for suicide prevention) nel 2008: le linee guida per i giornalisti per la prevenzione dei suicidi e il loro trattamento in cronaca, disponibili sul sito dell’Ordine del giornalisti del Veneto (www.ordinegiornalisti.veneto.it ): si tratta di una serie di utili consigli su come trattare i temi relativi ai suicidi cercando di evitare di alimentare effetti emulativi.