Il gioco d’azzardo è ormai una vera e propria miniera d’oro per lo Stato Italiano. Come anticipato da GamingReport qualche settimana fa sono stati ufficializzati i bilanci dell’anno passato. Con oltre 80 miliardi di euro incassati ogni anno è la terza fonte di reddito. A questi vanno aggiunti i 10 miliardi “oscuri” del gioco non legalizzato. Non è un caso che l’Italia sia il primo paese in Europa per volume di giocate.
Lo stato non è l’unico ad arricchirsi attraverso il gioco. Le stesse attività che ospitano slot e giochi elettronici hanno un considerevole aumento degli introiti, dovuti, non soltanto alla percentuale sui guadagni dei giocatori che decidono di tentare la sorte, ma, al costante ampliamento della clientela. Va, infine, considerato lo sviluppo di nuovi posti di lavoro con la nascita di inedite figure professionali: si pensi, ad esempio, al poker manager del web (predisposto al controllo delle partite di Texas Hold’em da un terminale all’altro del Paese) ai web designer, ai programmatore di software e app.
A questa ricchezza economica fa, però, da contraltare, il fenomeno sempre più dilagante del Gioco d’Azzardo Patologico o GAP. In questo momento, si gioca una doppia partita sul tavolo verde: da una parte ci sono i commercianti che vorrebbero meno restrizioni, dall’altra un insieme di istituzioni politiche che spingono per ridurre, o, addirittura annullare, il fenomeno del gambling.
Significativo a riguardo è l’esempio del Veneto: qui la regione ha approvato nel 2015 la Legge che promuove gli interventi finalizzati alla prevenzione, al contrasto e alla riduzione del rischio dalla dipendenza da gioco d’azzardo patologico. I Comuni sono chiamati ad individuare, secondo specifici criteri, la dislocazione territoriale delle sale da gioco e gli orari di apertura delle stesse. Nel contempo le aziende ULSS dovranno promuovere, a livello sperimentale, iniziative nei confronti di soggetti affetti da GAP, e patologie connesse, adottando un programma di prevenzione, diagnosi e cura e riabilitazione.
Si tratta, dunque, di una vera e propria guerra al gioco d’azzardo che fa da contrappasso ad un altro fattore: il Veneto è la quinta regione più “spendacciona” per quel che riguarda le attività ludiche. Complessivamente, nel 2015, i suoi abitanti hanno mosso 1.29 miliardi di euro. Solo in Lombardia, Lazio, Campania ed Emilia Romagna si gioca di più.
Analizzando le sole città, Venezia è la più “spendazziona” con 840.186.015 (dati del Sole 24 ore, ndr, seguita da Verona con 712.220.421 e da Treviso con 709.095.506. Questi dati, non tengono conto del flusso derivanti dai giochi online.
Proprio qui sta l’inghippo. Per quanto si possano controllare con determinate misure i giochi offline, non è possibile fare altrettanto con quelli online, fenomeno in continua espansione.
In particolar modo, il settore delle scommesse attraverso la rete, è cresciuto in generale, dell’80% in più rispetto al 2014, muovendo un giro economico di 2.8 miliardi di euro. Anche i casinò online sono cresciuti parecchio: nel 2015 la spesa netta dei giocatori è stata di 327,5 milioni di euro, un +31,2% rispetto ai 249,6 milioni del 2014.
Questo significa che le abitudini ludiche della gente, si spostano sempre più dall’offline all’online. Rispetto al primo, il secondo garantisce un principio fondamentale: l’anonimato. Il costante aumento dei fatturati legati al gioco d’azzardo online portano gli esperti a stimare che l’industria del gambling mondiale raggiungerà il valore di 500 miliardi entro il 2020.
Si tratta di cifre spaventose, destinate ad incrementarsi ancora di più.
Provare a fermare quella che è ormai una vera e propria macchina da guerra economica sembra sempre più difficile.