Abbiamo chiesto a Marco Dalla Dea, fondatore dell’agenzia di comunicazione Voice2media, con base a Padova, di raccontare le esperienze relative all’olimpiade di Rio 2016 che si chiude oggi. Marco Dalla Dea infatti ha curato con il proprio staff la comunicazione della federazione del tiro su incarico del Cio di Losanna. Assieme a lui c’era un altro volto noto della comunicazione padovana: il fotografo Nicolò Zangirolami, già veterano del calcio di Europa e Champions League.
Qual è il messaggio che ti porti a casa da Rio 2016, Marco?
“Nonostante tutto, si può fare. Questo il messaggio positivo che mi ha lasciato Rio 2016. Nonostante le difficoltà economiche, i problemi di natura sociale, la paura del terrorismo, la disorganizzazione allegra e un po’ caciarona, si può ancora organizzare un evento come le Olimpiadi. E non solo si può, ma diventa sempre più importante farlo”.
Yes we can, come diceva Barack Obama all’inizio di un periodo iniziato con molte speranze, e che termina invece tra mille paure. Ripartiamo dai giochi olimpici per sperare di poter andare oltre alle guerre ed al terrorismo?
Le Olimpiadi aiutano a disinnescare la paura del diverso, la tendenza all’isolamento delle “piccole patrie” che serpeggia in questi anni, per lo meno in Europa. I numeri sono confortanti: 205 nazioni partecipanti, oltre 11.000 atleti (di cui il 45% donne), una squadra dedicata ai rifugiati di guerra – uomini e donne senza patria – che hanno gareggiato sotto la bandiera dei 5 cerchi. Qui si può giocare a beach volley col Burkini, si può correre col velo, si può sfilare alla cerimonia di apertura con gli abiti tipici fatti di foglie di palma. Il messaggio che passa è: fate quello che volete, quello che conta è il risultato sportivo, qui più che altrove si guarda alla sostanza, si guarda all’uomo prima che ai suoi costumi.
Parliamo un po’ di voi. Che ruolo avete avuto a Rio 2016?
Con la nostra azienda seguiamo la comunicazione della federazione internazionale degli sport del tiro dal 2006. Dovremmo essere super-partres, ma al cuor non si comanda e ci siamo emozionati per i risultati degli azzurri sui campi di tiro di Deodoro. Risultati eccezionali: 7 medaglie, di cui 4 ori e 3 argenti. Il tiro ha contribuito a metà delle medaglie d’oro e ad un quarto di tutti i podi dell’Italia. E lo chiamano sport minore. Di ieri anche la notizia che la finale di Trap – in cui il nostro highlander Giovanni Pellielo (alla settima Olimpiade) ha strappato l’argento – sarebbe stata la gara di Rio più vista dagli Italiani, con un audience di oltre 6 milioni di spettatori.
Inutile – anche se facile – lasciarsi andare alla solita polemica sugli sport minori che ricevono attenzione solo una volta ogni 4 anni. So che è spesso un dolore per questi atleti. Ma so anche che se fanno questa vita non è per la gloria. Mi piace infatti ricordare che i ragazzi del tiro sono persone “normali”, con un lavoro ed una famiglia, che portano avanti l’impegno sportivo non per ragioni economiche (non si diventa ricchi, anzi spesso si investe nello sport) ma per passione vera. Ecco perché mi piace questo mondo, fatto di famiglie, tradizioni che si tramandano, e amicizie vere, in piena sintonia con lo spirito Olimpico – che vorrebbe solo i non professionisti sul campo di gioco.
Nella foto un selfie di Marco Della Dea con l’atleta oro olimpico Niccolò Campriani